La scuola di Atene

La scuola di Atene

martedì 27 ottobre 2015

DANTE

INFERNO

DANTE NEL TERZO MILLENNIO
Emilio Pasquini nel suo libro Dante e le figure del vero (2001) trae dalla Commedia alcuni insegnamenti utili per i lettori del Duemila. Egli sottolinea che la carica corrosiva della denuncia dantesca nell'Inferno vuol essere un invito a ribellarsi a un'esistenza passiva e rassegnata. Dante insegna che nella vita di ognuno c'è un gesto decisivo che determina la svolta, ci sono delle scelte radicali che decidono il corso di un'esistenza, che imprimono alla vita di un individuo una precisa direzione, decidendo il suo destino in terra. Il messaggio è chiaro: non arrendiamoci alla passività e alla rassegnazione, esiste sempre per ognuno di noi un margine di scelta, un senso di responsabilità che può pesare sul nostro destino, a volte in modo irreparabile, perciò tocca a noi scegliere e scegliere bene.
Si tratta di essere in grado di non farsi annientare nella propria identità, di non farsi spossessare della propria interiorità, di imparare a conservare uno spazio libero nella propria coscienza, alzando un argine difensivo contro il vuoto del presente. Dante vuol dire che è necessario individuare qualcosa per cui valga la pena vivere, nonostante l'inferno del presente.
Il viaggio di Dante dal buio alla luce, dalla selva al Paradiso, dalla disperazione alla felicità, dimostra che è sempre possibile rimettersi sulla retta via, ovvero che ognuno di noi, riconoscendo i propri errori, può ripartire da zero, arricchito però di tutte le esperienze precedenti, superate, ma non negate né taciute.Vale la pena ricordare - conclude Pasquini - che queste osservazioni non vengono da un predicatore, ma da un  poeta. E proprio perché affidati a una insuperata poesia, i versi di Dante potranno dire qualcosa anche a coloro / che questo tempo chiameranno antico (Par. XVII, 119-120).


Noi siamo come nani sulle spalle di giganti, così che possiamo vedere più cose di loro e più lontane, non certo per l'acume della vista o l'altezza del nostro corpo, ma perché siamo sollevati e portati in alto dalla statura dei giganti.
(Frase attribuita a Bernardo di Chartres, filosofo di tendenze neoplatoniche)

Umberto Eco, nel suo romanzo Il nome della rosa, riprende questa frase di Bernardo di Chartres per descrivere la condizione di vantaggio di noi uomini del Duemila: siamo nani, certo, perché non abbiamo più la saggezza degli antichi - osserva Eco - tuttavia questa condizione non deve affatto generare un senso di nostalgico rimpianto verso un passato avvertito come irrecuperabile. Bisogna avere il coraggio di analizzare con occhi nuovi la realtà: la condizione di nani, cioè, il fatto di "essere dopo", non solo "sta sulle spalle" della tradizione, cioè, poggia su solide basi dalle quali non si prescinde, ma permette anche di avere una visione più lungimirante, che dall'alto abbraccia sia il passato che il futuro.
Studiare Dante secondo questa chiave di lettura consente non di sacralizzarlo come la reliquia di una gloriosa e irripetibile tradizione, ma di interpretarlo secondo prospettive nuove e attuali.
Il compito del lettore del Duemila è quello di accettare la sfida del lontano, del passato, per sottoporlo al'esercizio della critica, per rivisitarlo, rileggerlo, per scoprire che ha ancora molto da dire e per trovare un nuovo sistema di valori proprio a partire da una dimensione apparentemente distante, cioè, a partire da quel già detto che non si può eliminare (U. Eco, Il nome della rosa. Postille)


La realtà e la storia al tempo di Dante
http://www.p4lmedia.net/pdf/lup_rossa/v1/PDF/Parte_II/OnLine_NeRossa_T_016_vol_1.pdf


Dante e il suo tempo: M. Cacciari

DANTE
http://www.rai5.rai.it/articoli/i-grandi-della-letteratura-italiana-dante-alighieri/31557/default.aspx
VITA NUOVA
http://rossa.palumbomultimedia.com/?cmd=cerca


D'AVENIA RACCONTA LA VITA NUOVA: l'amore e l "mistica dell'ordinario"
https://www.youtube.com/watch?v=iR4lpmm28ko

Lo sguardo di Beatrice.
Perché lo sguardo di chi ama dona salvezza?



L'amore è forza generativa: U. Galimberti




Diventa ciò che sei




Il collante per la società: la relazione umana.
Dante opponeva agli scontri la forza degli incontri, vedendo nella relazione umana una via di salvezza per l'essere umano ("Vita nuova"): "guardare" l'altro significa entrare in relazione con lui.
(dal minuto 20.53 al minuto 25.36)-




Il Convivio. Il mito di Orfeo e i sensi delle scritture.

1. Poi che proemialmente ragionando, me ministro, è lo mio pane ne lo precedente trattato con sufficienza preparato, lo tempo chiama e domanda la mia nave uscir di porto; per che, dirizzato l’artimone de la ragione a l’òra del mio desiderio, entro in pelago con isperanza di dolce cammino e di salutevole porto e laudabile ne la fine de la mia cena. Ma però che più profittabile sia questo mio cibo, prima che vegna la prima vivanda voglio mostrare come mangiare si dee. 2. Dico che, sì come nel primo capitolo è narrato, questa sposizione conviene essere litterale e allegorica. E a ciò dare a intendere, si vuol sapere che le scritture si possono intendere e deonsi esponere massimamente per quattro sensi. 3. L’uno si chiama litterale, [e questo è quello che non si stende più oltre che la lettera de le parole fittizie, sì come sono le favole de li poeti. L'altro si chiama allegorico,] e questo è quello che si nasconde sotto ’l manto di queste favole, ed è una veritade ascosa sotto bella menzogna: sì come quando dice Ovidio che Orfeo facea con la cetera mansuete le fiere, e li arbori e le pietre a sè muovere; che vuol dire che lo savio uomo con lo strumento de la sua voce fa[r]ia mansuescere e umiliare li crudeli cuori, e fa[r]ia muovere a la sua volontade coloro che non hanno vita di scienza e d’arte: e coloro che non hanno vita ragionevole alcuna sono quasi come pietre. 4. E perchè questo nascondimento fosse trovato per li savi, nel penultimo trattato si mosterrà. Veramente li teologi questo senso prendono altrimenti che li poeti; ma però che mia intenzione è qui lo modo de li poeti seguitare, prendo lo senso allegorico secondo che per li poeti è usato. 5. Lo terzo senso si chiama morale, e questo è quello che li lettori deono intentamente andare appostando per le scritture, ad utilitade di loro e di loro discenti: sì come appostare si può ne lo Evangelio, quando Cristo salio lo monte per transfigurarsi, che de li dodici Apostoli menò seco li tre; in che moralmente si può intendere che a le secretissime cose noi dovemo avere poca compagnia. 6. Lo quarto senso si chiama anagogico, cioè sovrasenso; e questo è quando spiritualmente si spone una scrittura, la quale ancora [sia vera] eziandio nel senso litterale, per le cose significate significa de le superne cose de l’etternal gloria sì, come vedere si può in quello canto del Profeta che dice che, ne l’uscita del popolo d’Israel d’Egitto, Giudea è fatta santa e libera. 7. Chè avvegna essere vera secondo la lettera sia manifesto, non meno è vero quello che spiritualmente s’intende, cioè che ne l’uscita de l’anima dal peccato, essa sia fatta santa e libera in sua potestate. 8. E in dimostrar questo, sempre lo litterale dee andare innanzi, sì come quello ne la cui sentenza li altri sono inchiusi, e sanza lo quale sarebbe impossibile ed inrazionale intendere a li altri, e massimamente a lo allegorico.


VIRGILIO, IV BUCOLICA O ECLOGA MESSIANICA

O muse siciliane, cantiamo cose un po' più alte! 
Non a tutti giovano gli arbusti e le umili tamerici; 
se cantiamo le selve, le selve siano degne per un console. 
Già arrivò l'ultima età della predizione dei cumani, 
nasce per intero una grande serie di secoli; 
e già ritorna anche la Vergine, tornano i regni di Saturno, 
già una nuova progenie è mandata giù dall'alto cielo. 
Tu, casta Lucina, proteggi il bambino che nasce ora dove per 
la prima volta cesserà l'era delle armi: già regna il tuo Apollo. 
E con te a tal punto questa gloria del tempo, comincerà, col 
tuo consolato, o Pollione, e cominceranno a procedere i grandi 
mesi; sotto la tua guida, se alcune vestigia della nostra bassezza 
rimarranno, libereranno dall'inutile e perpetua paura le terre. 
Egli prenderà la vita degli dei, vedrà 
gli eroi mescolati agli dei e lui stesso sarà visto da essi, 
e reggerà la terra pacificata con le virtù del padre. 
E per te, o bambino, la terra diffonderà qua e là le edere 
vagabonde con il baccaro e le colocasie mescolate al ridente 
acanto come primizie di doni che nessuno ha coltivato. 
Essa stessa (spontaneamente) per te diffonderà fiori odorosi, 
come culla. Spontaneamente le caprette porteranno a casa le  
mamelle feconde e gonfie di latte, e gli armenti non temeranno  
i leoni; e morirà il serpente e morirà la fallace pianta del  
veleno, nascerà da ogni parte l'ammomo degli Assiri. 
E non appena potrai leggere le lodi degli eroi e le gesta 
di tuo padre potrai sapere cosa sia la virtù, 
e a poco a poco imbiondirà la campagna con la spiga molle 
e dai rovi incolti prenderà il rosso l'uva e 
le dure querce trasuderanno un rugiadoso miele. 
Tuttavia poche antiche tracce della scelleratezza si insinueranno, 
la quale spinge l'uomo a tentare le insidie di Teti, 
cingere di mura le città e infliggere solchi alla terra. 
Ci sarà allora un altro Tifi, e un altro Argo, 
che condurrà eroi scelti; ci saranno anche altre guerre 
e un'altra volta si manderà il grande Achille a Troia.
Da questo momento, quando già l'età divenuta adulta ti avrà 
fatto uomo, e anche il navigante si allontanerà dal mare, né 
la nave commercerà: ogni terra produrrà tutte le cose. 
La terra non subirà i rastrelli, né la vite la falce, 
anche il forte aratore toglierà ormai i gioghi dei tori. 
Né la lana imparerà più a imitare i vari colori, 
ma lo stesso ariete cambierà nei prati il vello ora con porpora 
rosseggiante, ora con guado giallo; spontaneamente 
la tinta rossa coprirà gli agnelli mentre sono al pascolo. 
"Filate presto tali generazioni", dissero ai loro fusi 
le Parche concordi con un immutabile cenno dei fati. 
O cara prole degli dei, grande discendente di Giove, 
avvicinati ai grandi onori (ne sarà ormai tempo)! 
Contempla l'universo vibrante con la sua mole sferica, 
e le terre e la distesa del mare e il cielo profondo: 
contempla come tutto quanto gioisca dell'età che sta per giungere! 
O a me allora rimane l'ultima parte di una lunga vita 
e quanta ispirazione sarà necessaria per cantare le tue gesta: 
non mi vincerà con la poesia il tracio Orfeo 
né Lino, per quanto la madre assista uno e il padre l'altro, 
Calliope ad Orfeo, il bel Apollo a Lino. 
Anche Pan, se lotterà con me, giudice l'Arcadia, 
anche Pan si dica sconfitto, giudice l'Arcadia. 
Inizia, piccolo fanciullo, a riconoscere dal sorriso la madre 
(alla madre i lunghi fastidi durarono dieci mesi) 
inizia, piccolo fanciullo: colui al quale non risero i genitori, 
né un dio lo onorerà della sua mensa, né una dea del suo letto.


INTERPRETAZIONE FIGURALE DI VIRGILIO
I lettori antichi della Commedia hanno sottolineato l’aspetto allegorico del personaggio di Virgilio: la ragione; quelli moderni hanno viceversa evidenziato gli aspetti umani e poetici della figura. In verità, Virgilio non è dunque l’allegoria di una qualità, di una virtù, di una capacità o di una forza, e neppure di un’istituzione storica. Egli non è né la ragione né la poesia né l’impero. È Virgilio stesso. Ma non al modo in cui i poeti posteriori hanno cercato di rendere una persona umana avviluppata nella sua situazione storica […]. Questi presentano i loro personaggi storici nella loro stessa vita terrena, fanno risorgere davanti ai nostri occhi un’epoca notevole della loro vita e cercano di ritrovare il suo senso direttamente in essa. Per Dante il senso di ogni vita è interpretato, essa ha il suo posto nella storia provvidenziale del mondo che per lui è interpretata nella visione della Commedia, dopo che nei suoi tratti generali essa era già contenuta nella rivelazione comunicata ad ogni cristiano. Così nella Commedia Virgilio è bensì il Virgilio storico, ma d’altra parte non lo è più, perché quello storico è soltanto “figura” della verità adempiuta che il poema rivela, e questo adempimento è qualche cosa di più, è più reale, più significativo della “figura”. All’opposto che nei poeti moderni, in Dante il personaggio è tanto più reale quanto più è integralmente interpretato, quanto più esattamente è inserito nel piano della salute eterna. E all’opposto che negli antichi poeti dell’oltretomba, i quali mostravano come reale la vita terrena e come umbratile quella sotterranea, in lui l’oltretomba è la vera realtà, il mondo terreno è soltanto “umbra futurorum”, tenendo conto però che l’“umbra” è la prefigurazione della realtà ultraterrena e deve ritrovarsi completamente in essa. (Auerbach, Studi su Dante, 1939).
Il colto ed epico Virgilio sopravvisse al naufragio di gran parte della cultura classica nell’Alto Medioevo: da un lato fu tramutato dalla cultura meno alta e dotta in mago e indovino; dall’altro fu visto unicamente come l’autore di opere considerate solo come testi scolastici, manuali per apprendere il latino. 
Allorché la cultura del cristianesimo elaborò una lettura allegorica della storia e dei testi classici e biblici, Virgilio diventò un profeta della religione cristiana dato che l’auspicio di un’età di pace contenuto nella IV Egloga viene interpretato come profezia del cristianesimo, mentre il VI libro dell’Eneide viene letto come un’anticipazione dell’aldilà cristiano. E il viaggio nei Campi Elisi ben si conviene a un poeta la cui fama di mago e di profeta si era consolidata, per quanto del tutto infondata storicamente. Ma Virgilio non sapeva egli stesso, secondo Dante, ciò che profetizzava. Come tutti i grandi poeti, egli era simile ad un uomo che camminando nel crepuscolo del sogno, reca sulle spalle la luce della verità eterna. Questa universalissima e profondissima concezione del valore della poesia Dante se l’è formata sul modello storico di Virgilio (Vossler 1983,La “Divina Commedia” studiata nella sua genesi e interpretata, vol.III, p. 231). 
Dante infatti, mentre eredita dal Medioevo la grande stima per il poeta mantovano, riscopre anche i suoi valori poetici e culturali: così riconosce in Virgilio il maestro di stile e di una letteratura che riflette, senza che il poeta stesso ne sia consapevole, la verità eterna.
Inoltre Virgilio è “Romano” ed è cantore dell’impero: in quanto Romano è un rappresentante del popolo scelto da Dio per governare il mondo, e in quanto cantore dell’impero è il poeta che ha celebrato lo strumento che Dio stesso ha deciso per tale azione politica.
Quindi ha dei requisiti in più per essere una guida rispetto a un altro poeta come Omero (che comunque Dante non conobbe), o rispetto a un filosofo come Aristotele: nei confronti di entrambi il fatto di essere Romano, nei confronti del secondo anche di essere poeta.
Agli occhi di Dante il Virgilio storico è in pari tempo poeta e guida. È una guida come poeta, perché nel suo poema, nel viaggio agli Inferi del giusto Enea, sono profetizzati e celebrati l’ordinamento politico che Dante considera esemplare, la “terrena Jerusalem”, e la pace universale sotto l’impero romano; perché nel suo poema è cantata la fondazione di Roma, sede predestinata del potere temporale e spirituale, in vista della sua futura missione. Soprattutto egli è una guida, come poeta, perché tutti i grandi poeti posteriori furono infiammati e ispirati dalla sua opera (Auerbach, Studi su Dante, 1984, pp. 220-221).
Virgilio è il simbolo della saggezza che coglie l’ordine del mondo e l’ordinamento dell’aldilà; è anche il modello della poesia che trasmette questa verità. Comunque è presentato come dotato di una sua precisa personalità, come un uomo vivo. E lo è proprio perché è il rappresentante di una saggezza che non muore. In Virgilio è presente l’uomo oltre che il saggio. È il saggio per tutto ciò che ha visto (l’Impero), che ha profetizzato (l’ordine eterno e la venuta di Cristo) e reso in poesia (il viaggio nel regno dei morti). È il saggio perché è Romano e quindi è pieno di iustitia e di pietas.
La sua missione di uomo e di poeta gli ha fatto condurre Enea negli inferi: questo era la prefigurazione del suo doppio ruolo di guida per i posteri, che illuminava con il suo sapere, e per Dante, la cui missione certo non è meno alta di quella di Enea.
Dunque Virgilio ha condotto poeticamente Enea agli inferi; nella realtà storica, secondo la rappresentazione di Dante, prima ha reso poeta Stazio, poi lo ha condotto alla salvezza. Ora guida al cielo e alla poesia Dante; ha guidato alla salvezza con la sua inconsapevole profezia poetica moltissimi uomini, molti ne ha guidato alla sapienza e alla poesia. Egli è intrinsecamente una guida.
Il Virgilio storico, nato a Andes e vissuto a Roma sotto Augusto, è una figura, di cui il Virgilio incontrato alle soglie dell’inferno ed eterno abitatore del limbo rappresenta il compimento, l’adempimento: nell’aldilà, e soprattutto facendo da guida a Dante che rappresenta tutta l’umanità, è diventato in atto ciò che è sempre stato in potenza.
Quindi la verità del personaggio Virgilio non sta nelle vicende della sua biografia personale e poetica, né nel suo valore allegorico di ragione: sono piani entrambi presenti ma non esauriscono il personaggio. Il Virgilio vero, realizzato è quello che nel mondo dell’aldilà – cioè nel mondo della realtà e non delle apparenze fenomeniche – fa da guida a Dante e, quindi, a tutta l’umanità. È stato guida sulla terra perché è guida nei disegni di Dio; è rappresentante allegorico della ragione perché la guida deve essere razionale. È stato poeta sulla terra perché è stato scelto come – inconsapevole – profeta del piano divino. Virgilio è moderato, perfetto e compiuto artista, diletto da Dio, guida sicura attraverso la notte dell’Inferno, annunziatore inconscio dell’aurora cristiana. Tale, in verità, il significato simbolico di Virgilio che per Dante coincide interamente col significato storico. Il Virgilio della Commedia non è solamente quello che avrebbe dovuto essere nella storia, sibbene quello che è stato realmente e rimarrà in eterno. Trasportato nella Commedia, non muta egli, si muta in ciò che lo circonda. Ond’egli vive, si muove, e agisce in questa nuova atmosfera fantastica, così come deve. Non può fare altrimenti. Questo fatto semplicissimo risolve l’erudita contesa, senza fine e senza senso, intorno all’“allegoria” di Virgilio (Vossler, La “Divina Commedia” studiata nella sua genesi e interpretata, 1983, vol. III, p. 232).

REGNO DELL'OLTRETOMBA NELLA DIVINA COMMEDIA




INFERNO DANTESCO



Inferno



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