La scuola di Atene

La scuola di Atene

sabato 3 dicembre 2016

IL SEICENTO

IL BAROCCO


AMLETO
L'intreccio della tragedia Amleto è fondato sul tema dello smarrimento e della vertiginosa caduta dell'anima nei suoi abissi più profondi.

Prima fase
La vicenda si svolge nel castello di Elsinore, nel regno di Danimarca.
Amleto, principe di Danimarca, ha scoperto che lo zio Claudio è l'assassino di suo padre. Claudio è salito al trono, sposando Gertrude, la vedova del re di Elsinore.
Ad Amleto  appare uno Spettro nelle stanze di Elsinore: è il padre che lo informa di essere stato vittima di un avvelenamento.
Lo Spettro chiede vendetta, ma vuole che Gertrude sia risparmiata. Amleto promette obbedienza e comincia a fingersi pazzo per evitare il sospetto che lui voglia attentare alla vita di Claudio.
Tutti credono che a turbargli la mente sia l'amore per Ofelia - la figlia del ciambellano di corte, Polonio - che egli in passato ha amato, ma che ora inspiegabilmente tratta con crudeltà.
La natura malinconica di Amleto gli impedisce di compiere prontamente la vendetta. Inoltre, il principe non è sicuro che il fantasma da lui visto sia davvero lo spettro del padre; egli teme che sia un'apparizione diabolica che lo vuole ingannare.
Lo spettatore è incerto: Amleto si finge pazzo oppure è davvero pazzo?

Seconda fase
Dal momento in cui vede lo spettro, Amleto si abbandona a varie stranezze: ripudia Ofelia senza motivo; dice cose apparentemente senza senso, ma che pure sono tutte indirizzate a suggestionare Claudio, a indurlo a tradirsi, a rivelare la propria colpa. Polonio nota che nonostante sia pazzia bell'e buona, pure c'è del metodo in essa.
L'arrivo di una compagnia di attori a Elsinore offre al principe la possibilità di capire se il racconto dello Spettro corrisponde alla verità. Amleto fa mettere in scena, dinanzi a Claudio, un  dramma che ripropone le circostanze del delitto.
Si tratta di un esempio di metateatro.
Claudio rivive la vicenda, non riesce a controllare le proprie emozioni e si tradisce, rivelando così la propria colpa. Allo stesso tempo anche Amleto lascia trapelare i suoi stati d'animo e fa capire allo zio di essere a conoscenza degli eventi che hanno portato alla morte del padre.
Sulla corte cala un clima di sospetto e di diffidenza.

Terza fase
Amleto tenta di convincere la madre a interrompere la sua relazione con Claudio: il principe è, infatti, doppiamente ferito: soffre per l'avvelenamento del padre e nutre sentimenti  di rabbia e sdegno per il tradimento della madre, che ha gli ha rovinato la vita sposando Claudio, l'assassino del padre.
Durante un'animata conversazione con Gertrude, Amleto, convinto che Claudio stia origliando dietro un arazzo, sguaina la spada e trafigge, invece, Polonio.
Claudio teme ormai l'aggressività di Amleto e tenta di sbarazzarsene inviandolo in missione in Inghilterra con due amici - Rosencratz e Guildenstern - che hanno avuto l'ordine di ucciderlo. Il gruppo viene, però, catturato dai pirati. Amleto si salva, gli altri muoiono. 
A corte Ofelia è disperata perché Amleto l'ha abbandonata e le ha anche ucciso il padre: la ragazza impazzisce, si getta in un lago e muore.

Quarta fase
Nel cimitero di Elsinore, durante il funerale di Ofelia Amleto si scontra con Laerte, intenzionato a vendicare la morte della sorella Ofelia e del padre Polonio, uccisi da Amleto.
Claudio li incita al duello: ha fornito a Laerte una spada avvelenata, come avvelenato è il vino con cui tutti brinderanno per celebrare il vincitore della prova d'armi.
Comincia il duello e, mentre questo si svolge, la regina chiede da bere, ma usa la coppa di vino avvelenata. I duellanti intanto si scambiano più volte i fioretti cosicché ognuno si ferisce con quello avvelenato. La prima a soccombere è la regina. Poi, dopo aver svelato la trama ordita da Claudio, muore Laerte per il veleno sulla punta del fioretto. La furia del principe si abbatte allora sul re che, trafitto da Amleto con la spada avvelenata, muore.

Amleto è in fin di vita quando l'amico Orazio gli annuncia che Fortebraccio è appena tornato vittorioso dalla Polonia, dove ha recuperato con il suo esercito, le terre perse in duello con il padre di Amleto. Amleto allora lo propone come nuovo re, gli affida il regno e muore. Fortebraccio, giunto quindi al castello, sale sul trono e dispone grandi funerali per il defunto principe.



Monologo di Amleto 
Essere, o non essere, questo è il dilemma: se sia più nobile nella mente soffrire i colpi di fionda e i dardi dell’oltraggiosa fortuna o prendere le armi contro un mare di affanni e, contrastandoli, porre loro fine? Morire, dormire… nient’altro, e con un sonno dire che poniamo fine al dolore del cuore e ai mille tumulti naturali di cui è erede la carne: è una conclusione da desiderarsi devotamente. Morire, dormire. Dormire, forse sognare. Sì, qui è l’ostacolo, perché in quel sonno di morte quali sogni possano venire dopo che ci siamo cavati di dosso questo groviglio mortale, deve farci riflettere. È questo lo scrupolo che dà alla sventura una vita così lunga. Perché chi sopporterebbe le frustate e gli scherni del tempo, il torto dell’oppressore, la contumelia dell’uomo superbo, gli spasimi dell’amore disprezzato, il ritardo della legge, l’insolenza delle cariche ufficiali, e il disprezzo che il merito paziente riceve dagli indegni, quando egli stesso potrebbe darsi quietanza con un semplice stiletto? Chi porterebbe fardelli, grugnendo e sudando sotto il peso di una vita faticosa, se non fosse che il terrore di qualcosa dopo la morte, il paese inesplorato dalla cui frontiera nessun viaggiatore fa ritorno, sconcerta la volontà e ci fa sopportare i mali che abbiamo piuttosto che accorrere verso altri che ci sono ignoti? Così la coscienza ci rende tutti codardi, e così il colore naturale della risolutezza è reso malsano dalla pallida cera del pensiero, e imprese di grande altezza e momento per questa ragione devìano dal loro corso e perdono il nome di azione. 
(W. Shakespeare, "Amleto", atto III, scena I)


LO SMARRIMENTO ESISTENZIALE
Lo strappo nel cielo di carta
La  tragedia d’Oreste in un teatrino di marionette! – venne ad annunziarmi il signor Anselmo Paleari. – Marionette automatiche, di nuova invenzione. Stasera, alle ore otto e mezzo, in via dei Prefetti, numero cinquantaquattro. Sarebbe da andarci, signor Meis”.
“La tragedia d’Oreste?”
“Già! D’après Sophocle, dice il manifestino. Ora senta un po’  che bizzarria mi viene in mente ! Se, nel momento culminante, proprio quando la marionetta che rappresenta Oreste è per vendicare la morte del padre sopra Egisto e la madre, si facesse uno strappo nel cielo di carta del teatrino, che avverrebbe? Dica lei”.
“Non saprei”, - risposi, stringendomi ne le spalle. 
“Ma è facilissimo, signor Meis! Oreste rimarrebbe terribilmente sconcertato da quel buco nel cielo”.
“E perché?”
“Mi lasci dire. Oreste sentirebbe ancora gl’impulsi della vendetta, vorrebbe seguirli con smaniosa passione, ma gli occhi, sul punto, gli andrebbero lì, a quello strappo, donde ora ogni sorta di mali influssi si penetrerebbero nella scena, e si sentirebbe cader le braccia. Oreste, insomma, diventerebbe Amleto. Tutta la differenza, signor Meis, fra la tragedia antica e moderna consiste in ciò, creda pure: in un buco nel cielo di carta”.
E  se ne andò ciabattando.
Dalle vette nuvolose delle sue astrazioni il signor Anselmo lasciava spesso precipitar così, come valanghe, i suoi pensieri. La ragione, il nesso, l’opportunità di essi rimanevano lassù, tra le nuvole, dimodoché difficilmente a chi lo ascoltava riusciva di capirci qualche cosa.
L’immagine della marionetta d’Oreste sconcertata dal buco nel cielo mi rimase tuttavia un pezzo nella mente. A un certo punto: ”Beate le marionette,” sospirai, “su le cui teste di legno il finto cielo si conserva senza strappi! Non perplessità angosciose, né ritegni, né intoppi, né ombre, né pietà: nulla! E possono attendere bravamente e prender gusto alla loro commedia e amare e tener se stesse in considerazione e in pregio, senza soffrir mai vertigini o capogiri, poiché per la loro statura e per le loro azioni quel cielo è del tutto proporzionato.

Luigi Pirandello, Il fu Mattia Pascal, in Tutti i romanzi, a c.. di G: Macchia, Milano, Mondatori, 1973, cap. XII.  Prima edizione su “La Nuova Antologia”,  aprile – giugno 1904


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LA POESIA BAROCCA E MARINO
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GIAMBATTISTA MARINO, L'ADONE (l. VIII)

11
Sembra il felice e dilettoso loco 
pien d’angelica festa un Paradiso.
Spira quivi il Sospiro aure di foco,
vaneggia il Guardo e lussureggia il Riso.
Corre a baciarsi con lo Scherzo il Gioco.
Stassi il Diletto in grembo al Vezzo assiso.
Scaccia lunge il Piacer con una sferza
le gravi Cure e col Trastullo scherza.
(...)
18
Ride la terra qui, cantan gli augelli, 
danzano i fiori e suonano le fronde,
sospiran l’aure e piangono i ruscelli,
ai pianti, ai canti, ai suoni Eco risponde.
Aman le fere ancor tra gli arboscelli,
amano i pesci entro le gelid’onde,
le pietre istesse e l’ombre di quel loco
spirano spirti d’amoroso foco.

19
- A Dio, ti lascio; omai fin qui (di Giove 
disse là giunto il messaggier sagace)
per ignote contrade ed a te nove
averti scorto, o bell’Adon, mi piace.
Eccoci alfine insu’l confin, là dove
ogni guerra d’amor termina in pace.
Di quel senso gentil questa è la sede,
a cui sol di certezza ogni altro cede.

20
Ogni altro senso può ben di leggiero 
deluso esser talor da’ falsi oggetti;
questo sol no lo qual sempr’è del vero
fido ministro, e padre de’ diletti.

(...)




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LEONARDO DA VINCI
"LA SAPIENZA E' FIGLIOLA DELLA SPERIENZA"
 (Codice Forster III)

BACONE E L'UTOPIA DELLA NUOVA ATLANTIDE
http://www.loescher.it/librionline/risorse_ilpensieroplurale/download/oltremanuale/utopia/Bacone.htm
Dio ti benedica, figlio mio. Io ti darò la gemma più preziosa che possiedo: ti svelerò infatti, per amore di Dio e degli uomini, la vera organizzazione della Casa di Salomone. E per fartela conoscere, figlio mio, seguirò quest’ordine: in primo luogo ti rivelerò il fine della nostra istituzione; in secondo luogo i mezzi e gli strumenti che possediamo per i nostri lavori; in terzo luogo i diversi impieghi e funzioni assegnati a ciascuno dei nostri fratelli; in quarto luogo infine le norme e i riti che osserviamo.

«Fine della nostra istituzione è la conoscenza delle cause e dei segreti movimenti delle cose per allargare i confini del potere umano verso la realizzazione di ogni possibile obiettivo.
«I mezzi e gli strumenti sono i seguenti: abbiamo ampie caverne più o meno profonde, le più profonde nelle quali si addentrano nella terra fino a seicento cubiti. [...] Chiamiamo queste caverne “regioni inferiori” e ce ne serviamo per esperienze di coagulazione, indurimento, refrigerazione e conservazione dei corpi. Ne usiamo anche, a imitazione delle miniere naturali, per la produzione di nuovi metalli artificiali mediante la combinazione di vari materiali ivi giacenti da moltissimi anni. Ma ti stupirà molto sapere che usiamo talvolta queste caverne anche per la cura di certe malattie e per esperienze sul prolungamento della vita che facciamo su alcuni eremiti che hanno scelto di vivere laggiù. [...]
«Possediamo inoltre alte torri, la più alta delle quali misura un mezzo miglio. Alcune di esse sorgono su alte montagne cosicché, sommando l’altezza della torre con quella della montagna, si raggiunge, nella torre più alta, l’altezza di tre miglia. Chiamiamo questi posti “regioni superiori”, considerando l’aria compresa fra le regioni alte e le basse come “regione intermedia”. Ci serviamo di queste torri, in relazione alle loro diverse altezze e posizioni, per esperimenti di insolazione, di refrigerazione e di conservazione e per l’osservazione dei fenomeni atmosferici come i venti, le piogge, la neve, la grandine e i meteoriti ignei. Anche su qualcuna di queste torri vivono degli eremiti che visitiamo ogni tanto istruendoli sulle osservazioni che debbono compiere. [...]

Abbiamo anche case grandi e spaziose, dove imitiamo e riproduciamo i fenomeni meteorologici, come la neve, la grandine, la pioggia, le piogge artificiali di corpi non acquosi, i tuoni e i fulmini. In queste case sperimentiamo anche la generazione aerea di animali come le rane, le mosche e molti altri.

«Disponiamo anche di alcune stanze che chiamiamo camere di salute dove condizioniamo l’aria per renderla salubre e adatta alla cura di varie malattie e alla conservazione della salute. [...]

«Abbiamo costruito poi grandi frutteti e giardini dalle diverse colture, nei quali non guardiamo tanto alla bellezza quanto alla varietà del terreno e alla sua idoneità alla coltivazione di piante ed erbe diverse: in alcuni di essi, molto spaziosi, crescono, oltre ai vigneti, alberi e arbusti fruttiferi con i quali prepariamo diversi tipi di bevande. Qui pratichiamo una serie di esperimenti di innesti e inoculazioni, sia su piante selvatiche sia su piante da frutta, e otteniamo importanti risultati. In questi stessi frutteti e giardini facciamo nascere artificialmente piante e fiori più presto o più tardi della stagione in cui esse nascerebbero naturalmente e li facciamo fiorire e fruttificare più rapidamente del normale. Siamo in grado anche di ottenere piante molto più grandi delle normali, e i frutti di queste piante sono più grandi, più dolci e differenti di gusto, profumo, colore e forma dagli altri della specie originaria. E molti di questi frutti così trattati acquistano virtù medicinali. 

«Conosciamo anche dei sistemi per far nascere, mediante combinazioni di terreni, varie piante senza semi, per produrre nuove specie di piante diverse dalle comuni e infine per trasformare una pianta in un’altra.

«Disponiamo anche di parchi e di recinti per animali e uccelli di ogni tipo, i quali ci servono non tanto come spettacolo curioso, quanto per esperimenti di dissezione, mediante i quali gettiamo luce sugli studi intorno al corpo umano. In questo campo abbiamo raggiunto straordinari risultati, come la continuazione della vita quando diversi organi, che voi considerate vitali, sono morti e asportati, la resurrezione di corpi che all’apparenza sembrano morti e così via. Esperimentiamo anche su di essi veleni e medicinali e li sottoponiamo a cure mediche e a esperimenti chirurgici. Riusciamo a renderli artificialmente più grossi o più alti degli altri membri della loro specie, o viceversa più piccoli, arrestando il loro sviluppo. Li rendiamo più fecondi e prolifici del normale oppure sterili e infecondi. Possiamo variarne il colore, la forma, le attività. Riusciamo a fare incroci e accoppiamenti diversi che generano nuove specie e non sono infecondi come reputa l’opinione comune. Otteniamo numerose specie di serpenti, vermi, insetti e pesci da sostanze in putrefazione e alcuni di questi animali sono arrivati a essere creature perfette come gli animali e gli uccelli: provvisti di sesso e capaci di propagarsi. E nulla di tutto ciò avviene per caso giacché sappiamo in antecedenza quale specie di creatura nascerà da una determinata materia o incrocio. [...]

«Trattiamo anche le acque in modo tale da renderle nutrienti e così piacevoli che molti non usano altra bevanda. Abbiamo pane confezionato con varie specie di grano, di radici e di ghiande e perfino con carne e con pesce essiccato, con vari tipi di lieviti e condimenti in modo da renderlo al massimo grado appetitoso; alcuni di questi pani sono così nutrienti che molti vivono solo di essi senza bisogno di alcun altro cibo e raggiungono età assai avanzate. [...]

«Conosciamo anche diverse arti meccaniche a voi ignote e, con esse otteniamo prodotti come carta, tela, seta, tessuti, eleganti lavori realizzati con lucenti piume, ottime tinture e molti altri prodotti. [...]

Riusciamo a colorare la luce e a compiere ogni sorta di inganni e illusioni ottiche nelle figure, grandezze, movimenti e colori e a proiettare ogni genere di ombre. Abbiamo sistemi, a voi ancora sconosciuti, per produrre da corpi diversi una originaria sorgente di luce. Ci siamo procurati mezzi per vedere gli oggetti lontani nel cielo e nei luoghi più remoti e per fare apparire lontane cose vicine e viceversa, come costruendo distanze fittizie. Possediamo anche aiuti per la vista assai migliori delle vostre lenti e dei vostri occhiali. Abbiamo lenti e strumenti per vedere perfettamente e distintamente i corpi più minuti, come le forme e i colori di piccoli insetti o vermi, la grana o le venature nelle gemme, la composizione dell’urina e del sangue, altrimenti invisibili. [...] 

«Abbiamo costruito anche “Case dei suoni” dove facciamo esperimenti su tutti i suoni e sulla loro generazione. Conosciamo armonie a voi sconosciute di quarti di toni e di passaggi ancora minori. [...] Imitiamo e riproduciamo tutti i suoni articolati, le lettere, le voci e le note degli animali e degli uccelli. Abbiamo strumenti che, applicati all’orecchio, rafforzano l’udito, e anche diversi echi strani e artificiali che ripetono le voci varie volte come ripercuotendosi. Alcuni di questi echi respingono le voci più forti e acute; altri più profonde; mentre altri ancora le rimandano diverse nel tono e nel timbro. Possiamo infine trasmettere i suoni a distanza mediante tubi e condotti che corrono rettilinei o tortuosamente. [...]

«Abbiamo poi le “Case dei profumi” nelle quali compiamo esperimenti sul gusto e ove riusciamo (cosa molto strana a credersi) a moltiplicare gli odori. Riusciamo a imitare i profumi traendoli da misture diverse da quelle che li producono abitualmente. Possiamo imitare i sapori così perfettamente da poter ingannare il gusto di qualunque uomo. [...]

«Abbiamo inoltre officine meccaniche dove fabbrichiamo macchine e strumenti per ogni genere di movimenti: qui facciamo esperimenti per realizzare moti più veloci di quelli che voi avete realizzato sia con le vostre bocche da fuoco sia con qualunque altra vostra macchina e per realizzare il movimento e moltiplicarlo, servendoci di deboli forze, mediante ingranaggi e altri sistemi e infine per rendere questi moti più forti e potenti dei vostri. [...] 

«Imitiamo il volo degli uccelli e riusciamo entro certi limiti a librarci nell’aria. Abbiamo navi e imbarcazioni per navigare sott’acqua e per resistere alle tempeste marine, e cinture di sicurezza e congegni per reggersi a galla. Possediamo diversi strani orologi, strumenti che si muovono in modo ricorrente, e altri capaci di moto perpetuo. [...]

«Possediamo una “Casa della matematica” dove si conservano tutti gli strumenti perfettamente costruiti, necessari alla geometria e all’astronomia.

«Abbiamo infine le “Case per gli inganni dei sensi” ove compiamo ogni specie di giochi di prestigio, di false apparizioni, di illusioni, di imposture con i relativi inganni. Potrai certo capire facilmente come noi, che possediamo tante cose che, pur essendo perfettamente naturali, generano stupore, potremmo in molti casi particolari ingannare i sensi, se volessimo mascherare queste cose e farle apparire miracolose».

La Nuova Atlantide, in Scritti filosofici, a cura di P. Rossi, Torino, Utet, 1975, pp. 857-62.



GALILEO






"IL MONDO SENSIBILE"

CONTRO "IL MONDO DI CARTA"

G. Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo

SECONDA GIORNATA

Simplicio
Io vi confesso che tutta questa notte sono andato ruminando le cose di ieri, e veramente trovo di molte belle nuove e gagliarde considerazioni; con tutto ciò mi sento stringer assai piú dall’autorità di tanti grandi scrittori, ed in particolare... Voi scotete la testa, signor Sagredo, e sogghignate, come se io dicessi qualche grande esorbitanza.

Sagredo
Io sogghigno solamente, ma crediatemi ch’io scoppio nel voler far forza di ritener le risa maggiori, perché mi avete fatto sovvenire di un bellissimo caso, al quale io mi trovai presente non sono molti anni, insieme con alcuni altri nobili amici miei, i quali vi potrei ancora nominare.

Salviati
Sarà ben che voi ce lo raccontiate, acciò forse il signor Simplicio non continuasse di creder d’avervi esso mosse le risa.

Sagredo
Son contento. Mi trovai un giorno in casa un medico molto stimato in Venezia, dove alcuni per loro studio, ed altri per curiosità, convenivano tal volta a veder qualche taglio di notomia per mano di uno veramente non men dotto che diligente e pratico notomista. Ed accadde quel giorno, che si andava ricercando l’origine e nascimento de i nervi, sopra di che è famosa controversia tra i medici galenisti ed i peripatetici; e mostrando il notomista come, partendosi dal cervello e passando per la nuca, il grandissimo ceppo de i nervi si andava poi distendendo per la spinale e diramandosi per tutto il corpo, e che solo un filo sottilissimo come il refe arrivava al cuore, voltosi ad un gentil uomo ch’egli conosceva per filosofo peripatetico, e per la presenza del quale egli aveva con estraordinaria diligenza scoperto e mostrato il tutto, gli domandò s’ei restava ben pago e sicuro, l’origine de i nervi venir dal cervello e non dal cuore; al quale il filosofo, doppo essere stato alquanto sopra di sé, rispose: "Voi mi avete fatto veder questa cosa talmente aperta e sensata, che quando il testo d’Aristotile non fusse in contrario, che apertamente dice, i nervi nascer dal cuore, bisognerebbe per forza confessarla per vera".

Simplicio
Signori, io voglio che voi sappiate che questa disputa dell’origine de i nervi non è miga cosí smaltita e decisa come forse alcuno si persuade.

Sagredo
Né sarà mai al sicuro, come si abbiano di simili contradittori; ma questo che voi dite non diminuisce punto la stravaganza della risposta del Peripatetico, il quale contro a cosí sensata esperienza non produsse altre esperienze o ragioni d’Aristotile, ma la sola autorità ed il puro ipse dixit.

(…)

Simplicio
Io credo, e in parte so, che non mancano al mondo de’ cervelli molto stravaganti, le vanità de’ quali non dovrebbero ridondare in pregiudizio d’Aristotile, del quale mi par che voi parliate talvolta con troppo poco rispetto; e la sola antichità, e ’l gran nome che si è acquistato nelle menti di tanti uomini segnalati, dovrebbe bastar a renderlo riguardevole appresso di tutti i letterati.

Salviati
Il fatto non cammina cosí, signor Simplicio: sono alcuni suoi seguaci troppo pusillanimi, che danno occasione, o, per dir meglio, che darebbero occasione, di stimarlo meno, quando noi volessimo applaudere alle loro leggereze. E voi, ditemi in grazia, sete cosí semplice che non intendiate che quando Aristotile fusse stato presente a sentir il dottor che lo voleva far autor del telescopio, si sarebbe molto piú alterato contro di lui che contro quelli che del dottore e delle sue interpretazioni si ridevano? Avete voi forse dubbio che quando Aristotile vedesse le novità scoperte in cielo, e’ non fusse per mutar opinione e per emendar i suoi libri e per accostarsi alle piú sensate dottrine, discacciando da sé quei cosí poveretti di cervello che troppo pusillanimamente s’inducono a voler sostenere ogni suo detto, senza intendere che quando Aristotile fusse tale quale essi se lo figurano, sarebbe un cervello indocile, una mente ostinata, un animo pieno di barbarie, un voler tirannico, che, reputando tutti gli altri come pecore stolide, volesse che i suoi decreti fussero anteposti a i sensi, alle esperienze, alla natura istessa? Sono i suoi seguaci che hanno data l’autorità ad Aristotile, e non esso che se la sia usurpata o presa; e perché è piú facile il coprirsi sotto lo scudo d’un altro che ’l comparire a faccia aperta, temono né si ardiscono d’allontanarsi un sol passo, e piú tosto che mettere qualche alterazione nel cielo di Aristotile, vogliono impertinentemente negar quelle che veggono nel cielo della natura.
(…)
Simplicio
Ma quando si lasci Aristotile, chi ne ha da essere scorta nella filosofia? nominate voi qualche autore
Salviati
Ci è bisogno di scorta ne i paesi incogniti e selvaggi, ma ne i luoghi aperti e piani i ciechi solamente hanno bisogno di guida; e chi è tale, è ben che si resti in casa, ma chi ha gli occhi nella fronte e nella mente, di quelli si ha da servire per iscorta. Né perciò dico io che non si deva ascoltare Aristotile, anzi laudo il vederlo e diligentemente studiarlo, e solo biasimo il darsegli in preda in maniera che alla cieca si sottoscriva a ogni suo detto e, senza cercarne altra ragione, si debba avere per decreto inviolabile; il che è un abuso che si tira dietro un altro disordine estremo, ed è che altri non si applica piú a cercar d’intender la forza delle sue dimostrazioni. E qual cosa è piú vergognosa che ’l sentir nelle publiche dispute, mentre si tratta di conclusioni dimostrabili uscir un di traverso con un testo, e bene spesso scritto in ogni altro proposito, e con esso serrar la bocca all’avversario? Ma quando pure voi vogliate continuare in questo modo di studiare, deponete il nome di filosofi, e chiamatevi o istorici o dottori di memoria; ché non conviene che quelli che non filosofano mai, si usurpino l’onorato titolo di filosofo. Ma è ben ritornare a riva, per non entrare in un pelago infinito, del quale in tutt’oggi non si uscirebbe. Però, signor Simplicio, venite pure con le ragioni e con le dimostrazioni, vostre o di Aristotile, e non con testi e nude autorità, perché i discorsi nostri hanno a essere intorno al mondo sensibile, e non sopra un mondo di carta. 

Sagredo e l'elogio dell'intelligenza umana
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B. BRECHT, VITA DI GALILEO

Dalla via si ode un banditore leggere l'abiura di Galileo.

VOCE DEL BANDITORE « Io, Galileo Galilei, lettore di matematiche nell'Università di Firenze, pubblicamente abiuro la mia dottrina che il sole è il centro del mondo e non si muove,
e che la terra non è il centro del mondo e si muove. Con cuor sincero e fede non finta abiuro, maledico e detesto i suddetti errori ed eresie, e qualunque altro errore, eresia e setta contraria alla Santa Chiesa ».

La scena si oscura. Quando torna la luce, si odono ancora i rintocchi della campana, che però cessano
subito. Virginia è uscita; i tre discepoli di Galileo sono sempre in scena.

FEDERZONI Non t'ha mai pagato decentemente per il tuo lavoro! Non sei mai riuscito a pubblicare un libro tuo, e neanche a comprarti un paio di calzoni. Ecco il bel guadagno che hai fatto a « lavorare per la scienza »!
ANDREA (forte) Sventurata la terra che non ha eroi!

Galileo è entrato. Il processo lo ha trasformato radicalmente, fin quasi a renderlo irriconoscibile. Ha udito le parole di Andrea. Per alcuni istanti si ferma sulla soglia, aspettando un saluto. Ma poiché nessuno lo saluta, anzi i discepoli si allontanano da lui, egli avanza lentamente, col passo incerto di chi ci vede male, fino al proscenio; qui trova uno sgabello e si siede.

ANDREA Non posso guardarlo. Fatelo andar via.
FEDERZONI Sta' calmo.
ANDREA (grida a Galileo) Otre da vino! Mangialumache! Ti sei salvata la pellaccia, eh? (Si siede) Mi sento male. 
GALILEO (calmo) Dategli un bicchier d'acqua.

Frate Fulgenzio esce e rientra portando un bicchier d'acqua ad Andrea. Nessuno mostra di accorgersi
della presenza di Galileo, che siede in silenzio, nell'atto di ascoltare. Giunge di nuovo, da più lontano, il grido del banditore.

ANDREA Adesso riesco a camminare, se mi aiutate un po'.

Gli altri due lo sorreggono fino all'uscita. In questo momento Galileo incomincia a parlare.

GALILEO No. Sventurata la terra che ha bisogno di eroi.
(B. Brecht, Vita di Galileo, scena XIII)



L'AUTOCRITICA DI GALILEO
 Se gli uomini di scienza non reagiscono all’intimidazione dei potenti egoisti e si limitano ad accumulare sapere per sapere, la scienza può rimanere fiaccata per sempre, ed ogni nuova macchina non sarà che fonte di nuovi triboli per l’uomo. E quando, coll’andar del tempo avrete scoperto tutto lo scopribile, il vostro progresso non sarà che un progressivo allontanarsi dall’umanità. Tra voi e l’umanità può scavarsi un abisso così grande, che ad ogni vostro eureka rischierebbe di rispondere un grido di dolore universale… Nella mia vita di scienziato ho avuto una fortuna senza pari: quella di vedere l’astronomia dilagare sulle pubbliche piazze. In circostanze così straordinarie, la fermezza di un uomo poteva produrre grandissimi rivolgimenti. Se io avessi resistito, i naturalisti avrebbero potuto sviluppare qualcosa di simile a ciò che per i medici è il giuramento d’Ippocrate: il voto solenne di far uso della scienza ad esclusivo vantaggio dell’umanità. Così stando le cose, il massimo in cui si può sperare è una progenie di gnomi inventivi, pronti a farsi assoldare per qualsiasi scopo. Ho tradito la mia professione; e quando un uomo ha fatto ciò che ho fatto io la sua presenza non può essere tollerata nell’ambito della scienza. 
(Bertolt Brecht, Vita di Galileo, scena XIV, Einaudi, Torino 1963, , pp. 124-126)

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Calderón de la Barca, La vita è sogno

Monologo di Sigismondo

E' vero, sì, reprimiamo 
questa fiera condizione 
quest’ira, questa ambizione,
perché poi, forse, sogniamo;
ed ormai so che esistiamo
in un mondo singolare
dove vivere è sognare.
L'esperienza mi ha insegnato
che l'uomo che vive sogna 
fino a quando si ridesta.
Il re sogna di essere re
e così nell’inganno vive comandando,
disponendo e governando;
e l'applauso che riceve
in prestito, lo scrive nel vento,
e la morte in cenere lo converte.
Sventura immensa!
Chi ancora vorrà regnare,
dovendosi ridestare
nel sonno della morte?
Il ricco sogna le sue ricchezze
che gli procurano continui affanni;
sogna il povero che soffre
la sua miserabile povertà;
sogna chi agli agi s’avvezza;
sogna chi si affanna a correre dietro agli onori;
sogna chi ferisce e offende.
Sogna ognuno la passione
ch’egli vive, e non lo intende.
Io sogno la prigionia
che mi tiene qui legato
 e sognai che un altro stato
mi rendeva l’allegria.
 Che è la vita? Frenesia.
Che è la vita? Un'illusione,
solo un'ombra, una finzione.
E il più grande dei beni è ben poca cosa,
la vita è un sogno, e i sogni sogni sono.
(Calderón de la Barca, La vita è sogno, atto II, scena diciannovesima, vv. 1162-1201)