La scuola di Atene

La scuola di Atene

giovedì 26 settembre 2019

I CLASSICI: IL MALE DI VIVERE. TAEDIUM, STRENUA INERTIA, DISPLICENTIA SUI

LUCREZIO E IL TAEDIUM VITAE
Si possent homines, proinde ac sentire videntur
pondus inesse animo quod se gravitate fatiget,
e quibus id fiat causis quoque noscere et unde
tanta mali tamquam moles in pectore constet,
haud ita vitam agerent, ut nunc plerumque videmus
quid sibi quisque velit nescire et quaerere semper
commutare locum quasi onus deponere possit.
Exit saepe foras magnis ex aedibus ille,
esse domi quem pertaesumst, subitoque revertit,
quippe foris nilo melius qui sentiat esse.
Currit agens mannos ad villam praecipitanter,
auxilium tectis quasi ferre ardentibus instans;
oscitat extemplo, tetigit cum limina villae,
aut abit in somnum gravis atque oblivia quaerit,
aut etiam properans urbem petit atque revisit.
Hoc se quisque modo fugit, at quem scilicet, ut fit,
effugere haud potis est, ingratius haeret et odit
propterea, morbi quia causam non tenet aeger;
quam bene si videat, iam rebus quisque relictis
naturam primum studeat cognoscere rerum,
temporis aeterni quoniam, non unius horae,
ambigitur status, in quo sit mortalibus omnis
aetas, post mortem quae restat cumque manenda.

Alla perenne insoddisfazione di sé, l'epicureo Lucrezio offre come rimedio la filosofia, la conoscenza delle causae rerum: solo la filosofia, cioè una saggezza fondata sulla ragione, può liberare l'uomo dalle sue angosce, perché lo induce a riflettere non solo sulla sua particolare situazione contingente, ma sull'intera esistenza umana e gli consente di affrancarsi dalle sue eterne fonti di sofferenza: la paura del dolore, della morte, delle punizioni divine. Indagare le leggi di natura significa quindi cercare delle risposte utili a placare le ansie della vita.


ORAZIO E LA STRENUA INERTIA 
Tu quamcumque deus tibi fortunaverit horam
grata sume manu neu dulcia differ in annum,
ut quocumque loco fueris vixisse libenter
te dicas; nam si ratio et prudentia curas,
non locus effusi late maris arbiter aufert;
caelum non animum mutant qui trans mare currunt.
Strenua nos exercet inertia: navibus atque
quadrigis petimus bene vivere. Quod petis hic est,
est Ulubris, animus si te non deficit aequus.
(Orazio, Ep. I,11, vv.22-30)
Tu qualunque momento la divinità ti abbia concesso
accettalo con mano grata e non rinviare le gioie di anno in anno,
affinché in qualsiasi luogo tu ti sia trovato tu dica
di esser vissuto volentieriinfatti se ragione e saggezza tolgono le ansie,
non (le toglie) un luogo che domina il mare che si estende ampiamente;
climanon stato d'animo cambiano quelli che corrono oltre il mare.
Ci tormenta una faticosa inattivitàcon navi e
quadrighe cerchiamo di vivere beneQuello che cerchi è qui,
è a Ulubrese non ti manca una mente serena.

Strenua inertia è una callida iunctura che unisce l'idea di un continuo affaticarsi (strenua) a quella del torpore (inertia). Per l'epicureo Orazio la strenua inertia è un ozio tormentoso, senza riposo, che stanca la mente e lo spirito, fiaccati da un'incontentabilità senza fine e dalla mancanza di equilibrio interiore, la sola virtù capace di individuare la reale gerarchia di valori. Il poeta propone al suo amico Bullazio, cui dedica l'Epistola di raggiungere un animus aequus, un animo sereno, l'equilibrio interiore, la capacità di cogliere gli attimi di pienezza e di affidarsi alla ratio e alla prudentia, alla saggezza pratica di saper dare il giusto peso agli eventi della vita.

SENECA E LA DISPLICENTIA SUI
10 Hinc illud est taedium et displicentia sui et nusquam residentis animi uolutatio et otii sui tristis atque aegra patientia, utique ubi causas fateri pudet et tormenta introrsus egit uerecundia, in angusto inclusae cupiditates sine exitu se ipsae strangulant; inde maeror marcorque et mille fluctus mentis incertae, quam spes inchoatae suspensam habent, deploratae tristem; inde ille affectus otium suum detestantium querentiumque nihil ipsos habere quod agant, et alienis incrementis inimicissima inuidia (alit enim liuorem infelix inertia et omnes destrui cupiunt, quia se non potuere prouehere); 11 ex hac deinde auersatione alienorum processuum et suorum desperatione obirascens fortunae animus et de saeculo querens et in angulos se retrahens et poenae incubans suae, dum illum taedet sui pigetque. Natura enim humanus animus agilis est et pronus ad motus. Grata omnis illi excitandi se abstrahendique materia est, gratior pessimis quibusque ingeniis, quae occupationibus libenter deteruntur: ut ulcera quaedam nocituras manus appetunt et tactu gaudent et foedam corporum scabiem delectat quicquid exasperat, non aliter dixerim his mentibus, in quas cupiditates uelut mala ulcera eruperunt, uoluptati esse laborem uexationemque. 12 Sunt enim quaedam quae corpus quoque nostrum cum quodam dolore delectent, ut uersare se et mutare nondum fessum latus et alio atque alio positu uentilari: qualis ille homericus Achilles est, modo pronus, modo supinus, in uarios habitus se ipse componens, quod proprium aegri est, nihil diu pati et mutationibus ut remediis uti.
(Seneca, De tranquillitate animi, 2, 10-15)

Di qui quella noia e quell’insofferenza di sé, e l’irrequietezza dell’animo che non trova pace in nessun posto, e la triste e angosciosa sopportazione della propria inattività, soprattutto quando si ha ritegno ad ammetterne i motivi e il pudore ricaccia dentro il tormento, mentre le passioni, confinate in una angusta prigione, senza sbocchi, si soffocano a vicenda; di qui la tristezza, la depressione e i mille ondeggiamenti dell’animo incerto, che la speranza accarezzata tiene sospeso, la frustrazione rende triste; di qui l’atteggiamento di quanti detestano il proprio riposo e si lamentano di non aver nulla da fare; di qui, anche, l’invidia feroce per i successi altrui. Perché l’inattività insoddisfatta nutre il livore e, non avendo potuto farsi avanti loro, desiderano la rovina di tutti; quindi, per questa rabbia dei successi altrui e per la sfiducia riguardo ai propri, l’animo si adira contro la sorte e si lamenta dei tempi in cui vive ritirandosi negli angoli a rimuginare sulla propria pena, mentre prova fastidio e vergogna di sé.
Infatti l’animo umano è per natura attivo e portato al movimento. Gli è gradita ogni occasione di muoversi e distrarsi, e ancor più gradita a quei pessimi soggetti che volentieri si lasciano logorare dalle occupazioni; come certe ferite cercano le mani che recheranno loro dolore e godono d’essere toccate, e come la scabbia ripugnante trova sollievo in tutto ciò che la irrita (il grattare dà sollievo alla scabbia deturpante), non diversamente direi che per questi caratteri, in cui le passioni esplodono come ferite dolorose, lo sconvolgimento e l’agitazione sono fonti di piacere. Ci sono infatti cose che arrecano diletto al nostro corpo anche con un certo dolore, come voltarsi e girare il fianco non ancora stanco e prendere fresco ora in una posizione ora in un’altra, come quel famoso Achille descritto da Omero, che, ora prono, ora supino, assume varie posizioni - il che è proprio di un malato - non
ne sopporta a lungo nessuna e usa i cambiamenti come rimedi. Quindi si intraprendono viaggi senza meta e si va errando da una spiaggia all’altra sperimentando ora per mare ora per terra l’instabilità sempre nemica del presente: “ora andiamo in Campania.”
Ma subito i luoghi deliziosi vengono a noia: “andiamo a vedere quelli incolti, andiamo tra i monti del Bruzio e della Lucania”. tuttavia in mezzo ai luoghi desolati si cerca qualcosa di piacevole, in cui gli occhi avidi di godimento possano trovar sollievo dalla lunga desolazione dei luoghi selvaggi: “andiamo a Taranto, nel suo decantato porto, in quella terra dove l’inverno è così mite e la ricchezza sufficiente anche per la popolazione di un tempo”. “Ma via, andiamo a Roma”: da troppo tempo le orecchie sono restate lontane dagli applausi e dal chiasso, ora fa piacere godere della vista del sangue umano. Si intraprende un viaggio dietro l’altro e si sostituisce uno spettacolo con un altro. Come dice Lucrezio, in questo modo ciascuno fugge continuamente se stesso. Ma a che serve, se non ci riesce? Ciascuno sempre si segue e si incalza da solo, compagno insopportabile di sé. Dunque dobbiamo convincerci che non è colpa dei luoghi il male di cui soffriamo, ma nostra: siamo incapaci di sopportare ogni cosa, e non tolleriamo troppo a lungo la fatica né il piacere né noi stessi né niente. Ciò ha portato alcuni alla morte, poiché, cambiando continuamente propositi, finivano per riproporre sempre le stesse cose senza lasciare spazio al nuovo: cominciarono a provare disgusto per la vita e per il mondo stesso e si insinuò in loro quel famoso dubbio proprio di chi marcisce in mezzo alle mollezze: “Fino a quando sempre le stesse cose?”.

Per lo stoico Seneca a nulla valgono i rimedi illusori che l'animo inquieto individua per tentare di fuggire da se stesso: peregrinationes vagae (viaggi vagabondi, senza meta precisa, fughe da sé). La sola forza sta nell'indagine interiore alla scoperta della virtus, che è il presupposto necessario al raggiungimento della tranquillitas animi, la quiete dell'animo. Secondo lo Stoicismo, infatti, l'imperturbabilità, l'atarassia, sono obiettivi che si ottengono solo vivendo secondo virtù, ossia secondo ragione, sconfiggendo, cioè, la tirannia delle passioni e dei falsi piaceri.




lunedì 23 settembre 2019

CONSIGLI DI SCRITTURA

Scrivere è... scegliere le parole giuste



A. Manzoni, "Lettera a M. Chauvet
Perché, in sostanza, cosa ci dà la storia? Avvenimenti noti, per così dire, solo esteriormente; ciò che gli uomini hanno fatto; ma ciò che hanno pensato, i sentimenti che hanno accompagnato le loro deliberazioni e i loro progetti, i loro successi e insuccessi, i discorsi con i quali hanno fatto e cercato di far prevalere le loro passioni e le loro volontà su altre passioni e altre volontà, con i quali hanno espresso la loro collera, effuso la loro tristezza, con i quali in una parola, hanno manifestato la loro individualità, tutto ciò, tranne pochissimo, è passato sotto silenzio dalla storia, e tutto ciò forma il dominio della poesia. Eh! sarebbe ingenuo temere che manchi ad essa l’occasione di creare, nel senso più serio, forse il solo serio, di questa parola! Ogni segreto dell’anima umana si svela, tutto ciò che genera i grandi avvenimenti, tutto ciò che caratterizza i grandi destini, si rivela alle immaginazioni dotate d’una sufficiente forza di simpatia. Tutto ciò che la volontà umana ha di forte o di misterioso, e la sventura di religioso e di profondo, il poeta può indovinarlo; o, per meglio dire, scorgerlo, afferrarlo e esprimerlo.



Legge di Borg: “Mi impegna tutto, anche un set con  mio nonno”. ( B. Borg, tennista).
Bisogna impegnarsi, con scrupolo e precisione. Concentratevi su quello che state scrivendo: silenziate le notifiche su facebook, Instagram.

Scrivete prima una bozza, poi fate integrazioni, aggiunte, ritocchi, correzioni.

Legge di Levi: “Non si dovrebbe scrivere oscuro, perché uno scritto ha tanto più valore quanto meglio viene compreso e quanto meno si presta ad interpretazioni equivoche. La scrittura serve a comunicare, a trasmettere informazioni e chi non viene capito da nessuno non trasmette niente”. ( P. Levi, scrittore).
Ordine, efficacia, chiarezza sono gli ingredienti irrinunciabili di un buon testo.

Legge di Catone: “Rem tene, verba sequentur”. ( Catone il Censore, intellettuale latino).
Se conosciamo bene l’argomento, troveremo anche le parole per spiegarlo.

Rispettate le tracce, le consegne.

Leggete, studiate, tenete gli occhi aperti sul mondo, ascoltate le persone che hanno cose da dire sugli argomenti più disparati, vedete programmi interessanti in TV, su You Tube, siate curiosi e approfittate di occasioni culturali (cinema, teatro, presentazioni di libri, conferenze, mostre, convegni). In questo modo arricchirete i vostri testi. Soprattutto: scrivete. Si impara a nuotare nuotando, non leggendo un manuale di nuoto.

Scrivete con una bella grafia: è buona educazione e soprattutto è nel vostro interesse, perché sarete giudicati prima di tutto dalla forma. E una grafia sciatta e disordinata scoraggia i lettori.

Andate a capo quando un pensiero è stato articolato nella sua interezza e bisogna passare ad altro argomento.

Semplificate. Evitate periodi troppo lunghi, pieni di subordinate. Ma non limitatevi a mettere solo frasette in fila.

Sforzatevi di non alterare l’ordine naturale delle parole: soggetto-verbo complemento.

Evitate le rime o i bisticci di parole: "la circolare sulle uscite a teatro è circolata?"

Organizzate bene l’esposizione secondo dati essenziali da arricchire poi con opinioni personali: who, when, what, where, why.

Cercate uno stile personale che catturi l'attenzione del lettore e non lo annoi, senza però pretendere di essere originali per forza e stupire con effetti speciali.

Non perdetevi in preamboli inutili, introduzioni lunghe e andate subito al punto. Entrate “in medias res”. 

Non cercate il finale memorabile: sobrietà e discrezione: ricorrete a una frase che sintetizzi il vostro punto di vista in modo efficace e nuovo rispetto allo svolgimento, senza ripetervi; potete ricorrere a un domanda. Evitate di lanciare un  messaggio o di scrivere un’esortazione.

Evitate le frasi fatte, i cliché, gli stereotipi linguistici (oggigiorno, per così dire, quello che è + nome; luoghi comuni: senza se e senza ma; la donna è la regina della casa…): scegliete le parole con cura.

Evitate le coppie di nomi e aggettivi che sono sinonimi: uno è sufficiente (era un tipo triste e afflitto; arrivai a casa, la mia dimora; vidi una giovane ragazza).

Usare i CONNETTIVI, formule che connettono le varie parti del testo e servono ad articolare il pensiero.
-          Espressioni (da una lato … dall’altro; possiamo osservare due cose: la prima è che … la seconda, invece,  è che...; per quanto riguarda il primo punto… per quanto concerne il secondo…);
-          Avverbi e locuzioni avverbiali (affermative – certo, senza dubbio; modali – comunque; temporali – poi, allora; concessive – tuttavia, peraltro; conclusivi, dunque, pertanto, quindi)
-          Congiunzioni (causali- poiché; finali- affinché; avversative- ma, però; coordinanti - e anche).

Rendere ben evidente e individuabile la propria tesi. Spiegate le cose, non datele per scontate, evitate i salti logici.

La punteggiatura ha valore.
-         -  La donna tornò a casa all’improvviso e trovò il marito a letto, e non era solo. (valore denotativo, informativo).
-         -  La donna tornò a casa all’improvviso e trovò il marito a letto. E non era solo. (Sconcerto e sorpresa).
-         -  La donna tornò a casa all’improvviso e trovò il marito a letto. E non era solo… (Suspense)
-         -  La donna tornò a casa all’improvviso e trovò il marito a letto… E non era solo! (suggerimento acuto su che cosa possa essere accaduto dopo…).

Evitate l’abuso della prima persona: "io io io" non è elegante. Universalizzate i concetti. Io amo leggere sul divano= è molto piacevole e rilassante leggere sul divano.

Scrivere bene non significa scrivere tanto: bisogna saper distinguere l’essenziale dal secondario, ci vuole il coraggio di eliminare l’inutile, non si deve essere verbosi. La prolissità è un difetto: less is more. La revisione di un testo serve a togliere il superfluo.

Rileggere il vostro lavoro serve a correggere errori: molti dipendono dalla distrazione, dalla fretta.
Verificate dati e informazioni per evitare errori di contenuto. Curate la forma (doppie, uso della lettera H per il verbo avere, accenti, apostrofi).

Citate e virgolettate solo se siete sicuri, altrimenti riportate il pensiero di un  autore con le vostre parole. Se non ricordate la citazione in lingua, evitatela, ma non citate in modo scorretto. I titoli vanno tra virgolette.

Mantenete lo stesso tempo verbale senza oscillare tra passato e presente.

(Testo sintetizzato e liberamente ispirato a C. Giunta, Come non scrivere, UTET, 2018)


ESEMPI DI SCRITTURA ARGOMENTATIVA
1) MASSIMO RECALCATI
2) ANNAMARIA TESTA