La scuola di Atene

La scuola di Atene

mercoledì 12 ottobre 2016

TASSO

SCENE DI FOLLIA


Peter Bruegel il Vecchio, Margherita la pazza, 1561
Jheronimus Bosch, "La nave dei folli", 1494

Nel Rinascimento, per Ariosto ed Erasmo, la follia ha un duplice volto: è l’insensatezza di chi si lascia travolgere dalle fatue e ipocrite prospettive mondane, è la minaccia della bestialità che incombe sull'uomo, ma nello stesso tempo è forza demistificante, è l’autenticità vitale di chi sa smascherare la gran commedia del mondo e scegliere più difficili traguardi.
Ariosto ed Erasmo svolgono l'analisi di una dimensione culturale e hanno una visione intellettualistica del concetto di "follia".
Nell'età della Controriforma, invece, con Tasso, la follia è esperienza diretta: prende le forme dell'autopunizione, del senso di colpa, della lacerazione interiore, delle esplosioni psicotiche.
Il contrasto con l'autorità risolto da Ariosto attraverso scelte radicali e coraggiose, si sposta - nel caso di Tasso -  all'interno della coscienza: l'autorità non è confinata all'esterno dell'io, ma lo attraversa, lo penetra. Il controllo sulle coscienze esercitato dalla Chiesa controriformistica confligge con la libertà di pensiero ereditata dalla cultura umanistico-rinascimentale. E la ribellione è vissuta da Tasso come colpa. La tensione tra aspirazione alla libertà e controllo da parte dell'autorità - la cui norma viene, peraltro, introiettata - distrugge l'integrità del soggetto.


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E. Delacroix, Tasso recluso a Sant' Anna, 1830



Il poeta nella cella, malato, derelitto,
con il piede convulso gualcendo un manoscritto,
mira con occhio acceso dal fuoco del terrore
l’abisso di vertigine dove affonda il suo cuore.

Le stridule risate che empiono la prigione
allo strano e all’assurdo spingon la ragione;
l’avvolge stretto il Dubbio, e la Paura immonda,
multiforme, ridicola, soffiando lo circonda.

Quel genio rinserrato in un tugurio infame,                  
quegli urli, quelle smorfie, quei fantasmi che a sciame
turbinando in rivolta tormentano il suo udito,

quel dormiente svegliato dall’orrore del sito,
è ben questo il tuo emblema, Anima dagli oscuri
sogni, tu che il Reale soffoca fra i suoi muri!

C. Baudelaire, Sur «Le Tasse en prison» d’Eugène Delacroix


Lettera a Scipione Gonzaga
Oi me! misero me! Io aveva disegnato [1] di scrivere, oltre due poemi eroici di nobilissimo ed onestissimo argomento, quattro tragedie, de le quali aveva già formata la favola, e molte opere in prosa, e di materia bellissima e giovevolissima a la vita de gli uomini; e d’accoppiare con la filosofia l’eloquenza in guisa che [2] rimanesse di me eterna memoria nel mondo: e m’aveva proposto un fine di gloria e d’onore altissimo. Ma ora, oppresso dal peso di tante sciagure, ho messo in abbandono ogni pensiero di gloria e d’onore; ed assai felice d’esser mi parrebbe se senza sospetto potessi trarmi la sete da la quale continuamente son travagliato, e se, com’uno di questi uomini ordinari [3], potessi in qualche povero albergo menar la mia vita in libertà; se non sano, che più non posso essere, almeno non così angosciosamente infermo; se non onorato, almeno non abbominato [4]; se non con le leggi de gli uomini, con quelle de’ bruti almeno, che ne’ fiumi e ne’ fonti liberamente spengono la sete, de la quale (e mi giova il replicarlo) tutto sono acceso. Né già tanto temo la grandezza del male, quanto la continuazione c’orribilmente dinanzi al pensiero mi s’appresenta: massimamente conoscendo ch’in tale stato non sono atto né a lo scrivere né a l’operare. E ’l timor di continua prigionia molto accresce la mia mestizia; e l’accresce l’indegnità che mi conviene usare; e lo squallore de la barba e de le chiome e de gli abiti, e la sordidezza e ’l succidume [5] fieramente m’annoiano; e sovra tutto m’affligge la solitudine, mia crudele e natural nimica, da la quale anco nel mio buono stato era talvolta così molestato, che in ore intempestive m’andava cercando o andava ritrovando compagnia. E son sicuro, che se colei [6] che così poco a la mia amorevolezza ha corrisposto, in tale stato ed in tale afflizione mi vedesse, avrebbe alcuna compassione di me.
(...)
Di prigione in Sant’Anna, questo mese di maggio, l’anno 1579.


IL GIUDIZIO DI GALILEO: "Lo studietto e la tribuna"


Mi è sempre parso e pare, che questo poeta sia nelle sue invenzioni oltre tutti i termini gretto, povero e miserabile; e all'opposito, l'Ariosto magnifico, ricco e mirabile: e quando mi volgo a considerare i cavalieri con le loro azioni e avvenimenti, come anche tutte l'altre favolette di questo poema, parmi giusto d'entrare in uno studietto di qualche ometto curioso, che si sia dilettato di adornarlo di cose che abbiano, o per antichità o per rarità o per altro, del pellegrino, ma che però sieno in effetto coselline, avendovi, come saria a dire, un granchio petrificato, un camaleonte secco, una mosca e un ragno in gelatina in un pezzo d'ambra, alcuni di quei fantoccini di terra che dicono trovarsi ne i sepolcri antichi di Egitto, e così, in materia di pittura, qualche schizetto di Baccio Bandinelli o del Parmigiano, e simili altre cosette; ma all'incontro, quando entro nel Furioso, veggo aprirsi una guardaroba, una tribuna, una galleria regia, ornata di cento statue antiche de' più celebri scultori, con infinite storie intere, e le migliori, di pittori illustri, con un numero grande di vasi, di cristalli, d'agate, di lapislazari e d'altre gioie, e finalmente ripiena di cose rare, preziose, maravigliose, e di tutta eccellenza.
(Galileo Galilei, Considerazioni al Tasso, 1589-1595 ca.)


LEOPARDI VISITA IL SEPOLCRO DI TASSO  


Venerdì 15 febbraio 1823 fui a visitare il sepolcro del Tasso e ci piansi. Questo è il primo e l'unico piacere che ho provato in Roma. La strada per andarvi è lunga, e non si va a quel luogo se non per vedere questo sepolcro;- ma non si potrebbe anche venire dall'America per gustare il piacere delle lagrime lo spazio di due minuti? E' pur certissimo che le immense spese che qui vedo fare non per altro che per proccurarsi uno o un altro piacere, sono tutte quante gettate all'aria, perché in luogo del piacere non s'ottiene altro che noia. Molti provano un sentimento d'indignazione vedendo il cenere del Tasso, coperto e indicato non da altro che da una pietra larga e lunga circa un palmo e mezzo, e posta in un cantoncino d'una chiesuccia. Io non vorrei in nessun modo trovar questo cenere sotto un mausoleo. Tu comprendi la gran folla di affetti che nasce dal considerare il contrasto fra la grandezza del Tasso e l'umiltà della sua sepoltura.

Ma tu non puoi avere idea d'un altro contrasto cioè di quello che prova un occhio avvezzo all'infinita magnificenza e vastità de' monumenti romani, paragonandoli alla piccolezza e nudità di questo sepolcro. Si sente una trista e fremebonda consolazione pensando che questa povertà è sufficiente ad interessar e animar la posterità, laddove i superbissimi mausolei, che Roma racchiude, si osservano con perfetta indifferenza per la persona a cui furono innalzati, della quale o non si domanda neppur il nome, o si domanda non come nome della persona ma del monumento. Vicino al sepolcro del Tasso è quello del poeta Guidi, che volle giacere prope magnos Torquati cineres, come dice l'iscrizione. Fece molto male. Non mi restò per lui nemmeno un sospiro. Appena soffrii di guardare il suo monumento temendo di soffocare le sensazioni che avevo provate alla tomba del Tasso.

Anche la strada che conduce a quel luogo prepara lo spirito alle impressioni del sentimento. E' tutta costeggiata di case destinate alle manifatture, e risuona dello strepito de' telai e d'altri tali istrumenti, e del canto delle donne e degli operai occupati al lavoro. In una città oziosa, dissipata, senza metodo, come sono le capitali, è pur bello il considerare l'immagine della vita raccolta, ordinata e occupata in professioni utili. Anche le fisionomie e le maniere della gente che s'incontra per quella via, hanno un non so che di più semplice e di più umano che quelle degli altri; e dimostrano i costumi e il carattere di persone, la cui vita si fonda sul vero e non sul falso, cioè che vivono di travaglio e non d'intrigo, d'impostura e d'inganno, come la massima parte di questa popolazione. Lo spazio mi manca: t'abbraccio. Addio addio.
da Lettere 1823

TASSO
http://www.raiplay.it/video/2016/04/Il-tempo-e-la-Storia-Torquato-Tasso-e-la-Gerusalemme-liberata-Con-il-Prof-Lucio-Villari-del-04042016-9f084562-12e0-4549-9750-c8fde73d7404.html

AMINTA
La violenza nei rapporti umani: monologo del Satiro
Non sono io brutto, no, né tu mi sprezzi
Perché sì fatto io sia, ma solamente,
Perché povero sono, ahi, ché le ville
Seguon l’essempio de le gran cittadi;
E veramente il secol d’oro è questo,
Poiché sol vince l’oro, e regna l’oro.

(Atto II, scena I, vv. 776-781)

Ma, perche in van mi lagno? Usa ciascuno
Quell’armi, che gli hà date la natura
Per sua salute: il Cervo adopra il corso,
Il Leone gli artigli, et il bavoso
Cinghiale il dente: e son potenza, et armi
De la donna, Bellezza, e Leggiadria.
Io, perche non per mia salute adopro
La violenza, se mi fè Natura
Atto à far violenza, et à rapire?
(...)
Qual contrasto col corso, ò con le braccia
Potrà fare una tenera fanciulla
Contra me, sì veloce, e si possente?
Pianga, e sospiri pure, usi ogni sforzo
Di pietà, di bellezza: che, s’io posso
Questa mano ravvoglierle nel crine,
Indi non partirà, ch’io pria non tinga
L’armi mie per vendetta nel suo sangue.

(Atto II, scena I, vv, 795-820)


LA POETICA DI TASSO
DISCORSI DELL'ARTE POETICA
Non era per aventura cosí necessaria questa varieta a' tempi di Virgilio e d'Omero, essendo gli uomini di quel secolo di gusto non cosí isvogliato: però non tanto v'attesero, benché maggiore nondimeno in Virgilio che in Omero si ritrovi. Necessariissima era a' nostri tempi; e perciò dovea il Trissino co' sapori di questa varietà condire il suo poema; se voleva che da questi gusti sí delicati non fosse schivato: e se non tentò d'introdurlavi, o non conobbe il bisogno, o il disperò come impossibile. Io, per me, e necessaria nel poema eroico la stimo, e possibile a conseguire. Però che, sí come in questo mirabile magisterio di Dio, che mondo si chiama, e 'l cielo si vede sparso o distinto di tanta varietà di stelle; e discendendo poi giuso di mano in mano, l’aria e il mare pieni d'uccelli e di pesci; e la terra albergatrice di tanti animali cosí feroci come mansueti, ne la quale e ruscelli e fonti e laghi e prati e campagne e selve e monti si trovano; e qui frutti e fiori, là ghiacci e nevi, qui abitazioni e culture, là solitudini ed orrori; con tutto ciò, uno è il mondo che tante e sí diverse cose nel suo grembo rinchiode, una la forma e l'essenza sua, uno il modo, dal quale sono le sue parti con discorde concordia insieme congiunte e collegate; e non mancando nulla in lui, nulla però vi è di soverchio o di non necessario: cosí parimente giudico, che da eccellente poeta (il quale non per altro divino è detto, se non perché al supremo artefice no le sue operazioni assomigliandosi, de la sua divinità viene a partecipare) un poema formar si possa, nel quale, quasi in un picciolo mondo, qui si leggano ordinanze d'eserciti, qui battaglie terrestri e navali, qui espugnazioni di città, scaramucce e duelli, qui giostre, qui descrizioni di fame e di sete, qui tempeste, qui incendi, qui prodigi; là si trovino concili celesti ed infernali, là si veggiano sedizioni, là discordie, là errori, là venture, là incanti, là opere di crudeltà, di audacia, di cortesia, di generosità; là avvenimenti d'amore, or felici, or infelici, or lieti, or compassionevoli; ma che nondimeno uno sia il poema, che tanta varietà di materie contegna, una la forma e la favola sua, e che tutte queste cose siano di maniera composte che l'una l'altra riguardi, l'una a l'altra corrisponda, l'una da l'altra o necessariamente o verisimilmente dependa; sí che una sola parte o tolta via o mutata di sito, il tutto ruini.
(Dal Discorso secondo)


Tancredi nella selva incantata (Canto XIII, 32-46)
https://it.wikisource.org/wiki/Gerusalemme_liberata/Canto_tredicesimo