La scuola di Atene

La scuola di Atene

lunedì 2 novembre 2020

Verga, Eva

 I greci innamorati ci lasciarono la statua di Venere,

noi lasceremo il cancan litografato sugli scatolini da fiammiferi.

Non discutiamo nemmeno sulle proporzioni;

l’arte allora era una civiltà, oggi è un lusso:

anzi un lusso da scioperati.

(G. Verga, Prefazione a Eva, 1873)

Un povero pittore di nome Enrico Lanti arrivato dalla Sicilia per trovar fortuna, scommette con alcuni giovani che riuscirà a conquistare la bella fanciulla di cui è innamorato. Si tratta di Eva che si guadagna la vita facendo la ballerina di lusso. Eva lo ricambia pur continuando a condurre la sua vita. Lanti ha però un'idea romantica dell'amore: convince Eva a lasciare il teatro e ad andare a vivere con lui in miseria in una soffitta. Presto le difficoltà economiche e le difficoltà della vita quotidiana prendono il sopravvento sull'amore romantico. Eva lascia Enrico e ritorna alla vita di prima. Lanti raggiunge il successo solo abbassandosi a soddisfare i gusti del pubblico. In un raptus di gelosia uccide l'amante di Eva con cui vorrebbe riprendere la relazione. Presto si ammala di tisi e torna a morire in Sicilia, accolto dalla sua famiglia di origine.


TEMI

a) rapporto tra arte e modernità, dominata dagli interessi economici;

b) contrasto tra città e mondo premoderno (la Sicilia), inteso ancora come un'alternativa alla modernità, luogo di sentimenti e valori genuini;

c) il tema della ballerina come metafora della condizione dell'intellettuale.

Tolouse Lautrec, Moulin Rouge

Con i personaggi di Eva e Enrico Lanti, Verga affronta il problema della crisi dell’arte nella società industriale, in cui dominano gli interessi materiali. La ballerina diventa per l’artista oggetto di identificazione simbolica, rappresenta la sua dipendenza dal mercato. Come, infatti, la ballerina deve il suo successo ai gusti di un pubblico pagante, così l’artista, lo scrittore dipende dal mercato, dai gusti dei lettori, dalle imposizioni dell’industria editoriale che, a sua volta, dalle tendenze del pubblico è condizionata. Il senso sacro dell’arte è ora degradato a mera esibizione, spettacolo, esposizione di sé come merce offerta a chi spende; perciò le metafore dell’artista ora sono costituite da ballerine, clown, saltimbanchi. E il genio creativo è sostituito dal virtuosismo tecnico, dall’artificio di un’arte che “vende” se sta alle regole del gioco industriale, ma che perde, così, i suoi stessi connotati di arte per diventare “prodotto”.

In un’atmosfera di Banche e Imprese industriali  - conclude Verga - non c’è più spazio per l’arte, ma solo per gli affari, per gli utili.


PREFAZIONE A EVA

    Eccovi una narrazione - sogno o storia poco importa - ma vera, com'è stata e come potrebbe essere, senza retorica e senza ipocrisie. Voi ci troverete qualcosa di voi, che vi appartiene, che è frutto delle vostre passioni, e se sentite di dover chiudere il libro allorché si avvicina vostra figlia - voi che non osate scoprirvi il seno dinanzi a lei se non alla presenza di duemila spettatori e alla luce del gas, o voi che, pur lacerando i guanti nell'applaudire le ballerine, avete il buon senso di supporre che ella non scorga scintillare l'ardore dei vostri desideri nelle lenti del vostro occhialetto - tanto meglio per voi, che rispettate ancora qualche cosa. 
  Però non maledite l'arte che è la manifestazione dei vostri gusti. I greci innamorati ci lasciarono la statua di Venere; noi lasceremo il "cancan" litografato sugli scatolini dei fiammiferi. Non discutiamo nemmeno sulle proporzioni; l'arte allora era una civiltà, oggi è un lusso: anzi, un lusso da scioperati. La civiltà è il benessere; ed in fondo ad esso, quand'è esclusivo come oggi, non ci troverete altro, se avete il coraggio e la buona fede di seguire la logica, che il godimento materiale. In tutta la serietà di cui siamo invasi, e nell'antipatia per tutto ciò che non è positivo - mettiamo pure l'arte scioperata - non c'è infine che la tavola e la donna. 
  Viviamo in un'atmosfera di Banche e di Imprese industriali, e la febbre dei piaceri è la esuberanza di tal vita. 
  Non accusate l'arte, che ha il solo torto di avere più cuore di voi, e di piangere per voi i dolori dei vostri piaceri. Non predicate la moralità, voi che ne avete soltanto per chiudere gli occhi sullo spettacolo delle miserie che create, - voi che vi meravigliate come altri possa lasciare il cuore e l'onore là dove voi non lasciate che la borsa, - voi che fate scricchiolare allegramente i vostri stivalini inverniciati dove folleggiano ebbrezze amare, o gemono dolori sconosciuti, che l'arte raccoglie e che vi getta in faccia.

domenica 19 aprile 2020

ROCCO SCOTELLARO



È FATTO GIORNO

È fatto giorno, siamo entrati in giuoco anche noi
con i panni e le scarpe e le facce che avevamo.
Le lepri si sono ritirate e i galli cantano
ritorna la faccia di mia madre al focolare.
(da È fatto giorno, 1954)



LEZIONI DI ECONOMIA

Ti ho chiesto un giorno chi mise
le sentinelle di abeti
visti alle Dolomiti.
Ti ho chiesto tante altre cose
del cisto, del mirto,
dell’inula viscosa,
nomi senza economia.
Mi hai risposto tra l’altro,
che un padre che ama i figli
può solo vederli andar via.
(da È fatto giorno, 1954)
(Tricarico, Matera)


SEMPRE NUOVA È L'ALBA. (1948)

Non gridatemi più dentro,
non soffiatemi in cuore
i vostri fiati caldi, contadini.

Beviamoci insieme una tazza colma di vino!
che all’ilare tempo della sera
s’acquieti il nostro vento disperato.

Spuntano ai pali ancora
le teste dei briganti, e la caverna
l’oasi verde della triste speranza
lindo conserva un guanciale di pietra…

Ma nei sentieri non si torna indietro.
Altre ali fuggiranno
dalle paglie della cova,
perché lungo il perire dei tempi
l’alba è nuova, è nuova.

L'impegno di Rocco Scotellaro, tra lirismo e azione

mercoledì 18 marzo 2020

DIDONE INNAMORATA

DIDONE INNAMORATA
heu, vatum ignarae mentes. quid vota furentem,
quid delubra iuvant? est mollis flamma medullas
interea et tacitum vivit sub pectore uulnus.
uritur infelix Dido totaque vagatur
urbe furens, qualis coniecta cerva sagitta,
(…)
Nunc media Aenean secum per moenia ducit
Sidoniasque ostentat opes urbemque paratam,
incipit effari mediaque in voce resistit;
nunc eadem labente die convivia quaerit,
Iliacosque iterum demens audire labores
exposcit pendetque iterum narrantis ab ore.
post ubi digressi, lumenque obscura vicissim
luna premit suadentque cadentia sidera somnos,
sola domo maeret vacua stratisque relictis
incubat. illum absens absentem auditque videtque,
aut gremio Ascanium genitoris imagine capta
detinet, infandum si fallere possit amorem.
non coeptae adsurgunt turres, non arma iuventus
exercet portusve aut propugnacula bello
tuta parant: pendent opera interrupta minaeque
murorum ingentes aequataque machina caelo.
Ahi, mente ignara degli indovini! A che giovano i voti
ad una folle, a che i templi? La fiamma divora le molli midolla
intanto e tacita vive sotto il petto la ferita.
Si brucia l'infelice Didone e vaga pazza
per tutta la città, quale cerbiatta colpita da freccia,
(…)
Ora conduce Enea con sé in mezzo alle mura
ed ostenta i beni sidonii e la città pronta,
inizia a dire e si blocca in mezzo alla frase;
ora tramontando il giorno chiede uguali conviti,
e di nuovo invoca di ascoltare, pazza, i dolori di Ilio
e di nuovo pende dalla bocca del narratore.
Poi quando, divisi, anche la luna oscurata a sua volta
copre la luce e le stelle tramontando invitano ai sogni,
sola geme nella vuota reggia e sui tappeti abbandonati
si sdraia. Pur lontana, lui lontano lo ode e lo vede,
o trattiene Ascanio in grembo, presa dall'immagine
del padre, se mai potesse ingannare l'indicibile amore.
Le torri iniziate non s'alzano, la gioventù non s'allena
alle armi o non preparano i porti le difese sicure
per la guerra: pendono le opere interrotte e minacce
ingenti di muri ed una macchina eguagliata al cielo.



Le parole di Enea, il suo racconto, producono quello che gli Eurythmics cantarono in The miracle of love. Didone non vuole, non pensa, non desidera e non gradisce amare più nessuno: ma il racconto della lunga guerra persa, della fuga, delle pene, dell’esilio, il miracolo della voce di un eroe senza terra ove trovare rifugio, alla ricerca di quella ancora ignota destinata dagli dei, le spezza e spalanca il cuore.

SENTIMENTI UNIVERSALI

Eurythmics, The miracle of love


How many sorrows
Do you try to hide
In a world of illusion
That's covering your mind?
I'll show you something good
Oh I'll show you something good.
When you open your mind
You'll discover the sign
That there's something
You're longing to find

The miracle of love
Will take away your pain
When the miracle of love
Comes your way again.

Cruel is the night
That covers up your fears.
Tender is the one
That wipes away your tears.
There must be a bitter breeze
To make you sting so viciously
They say the greatest coward
Can hurt the most ferociously.
But I'll show you something good.
Oh I'll show you something good.
If you open your heart
You can make a new start
When your crumbling world falls apart.

The miracle of love
Will take away your pain
When the miracle of love
Comes your way again.

Quanti dolori
Tenti di nascondere
In un mondo di illusione
Che ricopre la tua mente?
Ti mostrerò qualcosa di buono
Oh ti mostrerò qualcosa di buono
Quando capirai
Scoprirai il segno
Che c'è qualcosa
Che tu stavi cercando a lungo...

Il miracolo dell'Amore
Porterà via il tuo dolore
Quando il miracolo dell'amore
Ritroverà il suo cammino verso te

Crudele è la notte
Che copre le tue paure
Tenero è colui
Che asciuga le tue lacrime
Ci deve essere un vento amaro
Per farti pungere cosi viziosamente
Si dice che i più grandi vigliacchi possano ferire così ferocemente
Ma io ti mostrerò qualcosa di buono
Oh ti mostrerò qualcosa di buono
Se apri il tuo cuore
Potrai vivere una nuova partenza
Quando il tuo traballante mondo cadrà a pezzi

Il miracolo dell'amore
Porterà via il tuo dolore
Quando il miracolo dell'amore
Ritroverà il suo cammino verso te