La scuola di Atene

La scuola di Atene

sabato 31 ottobre 2015

LA TRADUZIONE, LE TRADUZIONI: tradurre è tradire?

La traduzione è questione di negoziazione, tra traduttore, lettore, e autore originario (ovvero il testo che ci ha lasciato come unica testimonianza delle sue intenzioni). (...)
La conclamata "fedeltà" delle traduzioni non è un criterio che porta all'unica traduzione accettabile. (...)
La fedeltà è piuttosto (...) l'impegno a identificare quello che per noi è il senso profondo del testo, e la capacità di negoziare a ogni istante la soluzione che ci pare più giusta.
Se consultate qualsiasi dizionario vedrete che tra i sinonimi di "fedeltà" non c'è la parola esattezza. Ci sono piuttosto "lealtà", "onestà", "rispetto" ...
(U. Eco Dire quasi la stessa cosa)

Catullo: Odi et amo

http://nonquidsedquomodo.altervista.org/latino/programma-di-3/369-catullo-85-odi-et-amo


Orazio
http://nonquidsedquomodo.altervista.org/latino/programma-di-5/1292-orazio-tu-ne-quaesieris

... carpe diem, quam minimum credula postero.
(Odi I,11)

a)  Domenico Cappellina (1901)
... godi tu del dì presente, né ti attendere quel di domani.

b) Italo Lana - Arnaldo Fellin
... cogli l’oggi, nient’affatto fiduciosa nel domani.

c) Ezio Cetrangolo (1968)
... godi il presente, e il resto appena credilo.

d) Ennio Mandruzzato (1985)
     ... cogli la giornata, non credere al domani.

e) Mario Ramous (1988)
    ... goditi il presente e non credere al futuro.

f)  Luca Canali (1991)
... afferra l’oggi, credi al domani quanto meno puoi.

g) Alfonso Traina (1993)
... cogli ogni giorno che viene, senza farti illusioni sul domani.


Marziale

Epigrammi I, 57

Il giusto mezzo
 Qualem, Flacce, velim quaeris nolimve puellam?
 Nolo nimis facilem difficilemque nimis.
 Illud quod medium est atque inter utrumque probamus:
 nec volo quod cruciat, nec volo quod satiat.

a) Vuoi sapere che tipo di ragazza
mi piace, Flacco? Una non troppo facile
e neanche troppo difficile, il giusto
mezzo tra questo e quello. Non desidero
una lunga tortura ma nemmeno
la sazietà immediata.
(Cesare Vivaldi)

b) Che ragazza mi piace, chiedi, Flacco?
Né facile la voglio, né difficile.
qualcosa di mediano andrebbe bene:
che non mi metta in croce e non mi saturi.

SCHEDA DI ANALISI CONTRASTIVA
  1. Redigi una valutazione globale delle differenze riscontrabili tra i due testi, originale e traduzione, confrontando eventuali diversità semantiche, ideologiche, pragmatiche e stilistiche.
  2. Fornisci una valutazione della traduzione (scorrevole, semplice, chiara, convenzionale, complessa, elegante, ecc.).
  3. Ti sembra che il traduttore abbia compiuto alcune inferenze, trasmesse nella sua versione sotto forma di informazioni integrative o alternative?
  4. Ti pare invece che abbia eliminato alcuni termini dell'originale, considerandoli irrilevanti ai fini espressivi e comunicativi del testo tradotto?
  1. Nella traduzione sono esplicitati alcuni coesori testuali non rilevabili nell'originale? Ti sembra che questi siano stati introdotti allo scopo di facilitare la decodificazione? In caso affermativo ti sembra che tale maggiore esplicitazione di tratti di coerenza conferisca un eccesso di ridondanza fastidiosa e superflua?
  2. Rileva l'eventuale disseminazione del significante nel testo originale. Si tratta di un procedimento poetico grazie al quale alcuni suoni che caratterizzano la parola-chiave vengono replicati in altre parole della composizione.

  1. Tale disseminazione del significante è riscontrabile anche nel testo tradotto?
  2. Ritieni che il traduttore abbia prestato più attenzione alla traduzione delle parole o alla interpretazione delle idee rappresentate nell'originale?
  3. Le funzioni comunicative e le intonazioni del testo originale hanno un corrispettivo adeguato nella traduzione?
  4. L'impressione generale ricevuta dalla lettura della traduzione è di naturalezza o di artificiosità? Argomenta la tua risposta.

giovedì 29 ottobre 2015

DALLA RES PUBLICA ALL'IMPERO

Cesare: l'ascesa e il successo




LA COSTRUZIONE DEL NEMICO


La religiosità dei Galli
Natio est omnis Gallorum admodum dedita religionibus, atque ob eam causam qui sunt adfecti gravioribus morbis quique in proeliis periculisque versantur aut pro victimis homines immolant aut se immolaturos vovent, administrisque ad ea sacrificia druidibus utuntur, quod, pro vita hominis nisi hominis vita reddatur, non posse deorum immortalium numen placari arbitrantur, publiceque eiusdem generis habent instituta sacrificia. Alii immani magnitudine simulacra habent, quorum contexta viminibus membra vivis hominibus complent; quibus succensis, circumventi flamma examinantur homines. Supplicia eorum qui in furto aut in latrocinio aut aliqua noxia sint comprehensi, gratiora dis immortalibus esse arbitrantur; sed cum eius generis copia deficit, etiam ad innocentium supplicia descendunt.

IL DISCORSO DI CRITOGNATO
http://online.scuola.zanichelli.it/candidisoles-files/testi/6393_Candidi-Soles_Cesare_Testo-07.pdf


Cesare: la guerra civile



Cesare: Farsalo, la campagna d'Egitto, la catastrofe per Pompeo



Le Idi di Marzo del 44 a.C.: la morte di Cesare




CLEOPATRA



AUGUSTO




In consulatu sexto et septimo, postquam bella civilia exstinxeram per consensum universorum potitus rerum omnium, rem publicam ex mea potestate in senatus populique Romani arbitrium transtuli. Quo pro merito meo senatus consulto Augustus appellatus sum et laureis postes aedium mearum vestiti publice coronaque civica super ianuam meam fixa est et clupeus aureus in curia Iulia positus, quem mihi senatum populumque Romanum dare virtutis clementiaeque iustitiae et pietatis causa testatum est per eius clupei inscriptionem. Post id tempus auctoritate omnibus praestiti, potestatis autem nihilo amplius habui quam ceteri qui mihi quoque in magistratu conlegae fuerunt. 
(Res gestae Divi Augusti, 34)


"Dopo che, uccisi Bruto e Cassio, lo stato restò disarmato e, con la disfatta di Pompeo in Sicilia, l'emarginazione di Lepido e l'uccisione di Antonio, non rimase a capo delle forze cesariane se non Cesare Ottaviano, costui, deposto il nome di triumviro, si presentò come console, pago della tribunicia potestà a difesa della plebe. Quando ebbe adescato i soldati con donativi, con distribuzione di grano il popolo, e tutti con la dolcezza della pace, cominciò passo dopo passo la sua ascesa, cominciò a concentrare su di sé le competenze del senato, dei magistrati, delle leggi, senza opposizione alcuna: gli avversari più decisi erano scomparsi o sui campi di battaglia o nelle proscrizioni, mentre gli altri nobili, quanto più pronti a servire, tanto più salivano di ricchezza o in cariche pubbliche, e, divenuti più potenti col nuovo regime, preferivano la sicurezza del presente ai rischi del passato. Né si opponevano a quello stato di cose le province: era a loro sospetto il governo del senato e del popolo, per la rivalità dei potenti, l'avidità dei magistrati e le insufficienti garanzie fornite dalle leggi, stravolte dalla violenza, dagli intrighi e, infine, dalla corruzione."
(Tacito, Annales, I, 2,1)

"L'ordinamento dello stato peraltro non fu quello di un regno o di una dittatura, ma si resse sul nome e sull'autorità di un principe. (...)
A ciò si opponeva che l'amore per il padre e l'emergenza dello stato erano serviti come puro pretesto; che aveva, invece, per sete di dominio, mobilitato con distribuzioni di denaro, i veterani, e, ancor giovane e semplice cittadino, si era allestito un esercito."
(Tacito, Annales, I, 9,5 - 10,1)

Si quis matrifamilias aut praetextato praetextataeve comitem abduxisse(t) sive quis eum eamve adversus bonos mores appellasse(t) adsectatusve esse(t) dicetur (adtemptata pudicitia).
(Editto De adtemptata pudicitia)


TITO LIVIO E LA PREFAZIONE AGLI AB URBE CONDITA LIBRI


TACITO: RITRATTO DI TIBERIO 


SVETONIO: RITRATTO DI CALIGOLA

50 Caligola aveva la statura alta, il colore livido, il corpo mal proporzionato, il collo e le gambe estremamente gracili, gli occhi infossati e le tempie scavate, la fronte larga e torva, i capelli radi e
mancanti alla sommità della testa, il resto del corpo villoso. Per queste ragioni, quando passava, era un delitto, punibile con la morte, guardarlo da lontano o dall'alto o semplicemente pronunciare, per un motivo qualsiasi, la parola capre.
Quanto al volto, per natura orribile e ripugnante, si sforzava di renderlo ancora più brutto studiando davanti allo specchio tutti gli atteggiamenti della fisionomia capaci di ispirare terrore e paura. La sua salute non fu ben equilibrata né fisicamente né psichicamente. Soggetto ad attacchi di epilessia durante la sua infanzia, divenuto adolescente, era abbastanza resistente alle fatiche, ma qualche volta, colto da un'improvvisa debolezza, poteva a mala pena camminare, stare in piedi, riprendersi e sostenersi. Lui stesso si era accorto del suo disordine mentale e più di una volta progettò di ritirarsi per snebbiarsi il cervello.
Si crede che sua moglie Cesonia gli fece bere un filtro d'amore, ma che ciò lo rese pazzo.
Soffriva soprattutto di insonnia e non riusciva a dormire più di tre ore per notte e nemmeno in tranquillità, perché era turbato da visioni strane. Una volta, tra le altre, gli sembrò di trovarsi a colloquio con lo spettro del mare. Così, generalmente, per buona parte della notte, stanco di vegliare o di stare sdraiato, ora si metteva seduto sul suo letto, ora vagava per gli immensi portici, attendendo e invocando il giorno.
(De vita Caesarum, 4,50)



NERONE: L'INCENDIO DI ROMA


L'INCENDIO DI ROMA: ALBERTO ANGELA
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-b803a288-e6fd-4340-8fc1-980bbf294986.html

Fu Nerone a volere l'incendio di Roma ?   (Tacito, Annales, Liber  XV, 38 ) 

38. Si verificò poi un disastro, non si sa se accidentale o per dolo dell'imperatore - gli storici infatti tramandano le due versioni - comunque il più grave ed atroce toccato alla città a causa di un incendio. Iniziò nella parte del circo contigua ai colli Palatino e Celio, dove il fuoco, scoppiato nelle botteghe piene di merci infiammabili, subito divampò, alimentato dal vento, e avvolse il circo in tutta la sua lunghezza. Non c'erano palazzi con recinti e protezioni o templi circondati da muri o altro che facesse da ostacolo. L'incendio invase, nella sua furia, dapprima il piano, poi risalì sulle alture per scendere ancora verso il basso, superando, nella devastazione, qualsiasi soccorso, per la fulmineità del flagello e perché vi si prestavano la città e i vicoli stretti e tortuosi e l'esistenza di enormi isolati, di cui era fatta la vecchia Roma. Si aggiungano le grida di donne atterrite, i vecchi smarriti e i bambini, e chi badava a sé e chi pensava agli altri e trascinava gli invalidi o li aspettava; e chi si precipita e chi indugia, in un intralcio generale. Spesso, mentre si guardavano alle spalle, erano investiti dal fuoco sui fianchi e di fronte, o, se alcuno riusciva a scampare in luoghi vicini, li trovava anch'essi in preda alle fiamme, e anche i posti che credevano lontani risultavano immersi nella stessa rovina. Nell'impossibilità, infine, di sapere da cosa fuggire e dove muovere, si riversano per le vie e si buttano sfiniti nei campi. Alcuni, per aver perso tutti i beni, senza più nulla per campare neanche un giorno, altri, per amore dei loro cari rimasti intrappolati nel fuoco, pur potendo salvarsi, preferirono morire. Nessuno osava lottare contro le fiamme per le ripetute minacce di molti che impedivano di spegnerle, e perché altri appiccavano apertamente il fuoco, gridando che questo era l'ordine ricevuto, sia per potere rapinare con maggiore libertà, sia che quell'ordine fosse reale.

Nerone canta la presa di Troia mentre Roma brucia (Tacito, Annales, Liber XV, 39 )
39. Nerone, allora ad Anzio, rientrò a Roma solo quando il fuoco si stava avvicinando alla residenza, che aveva edificato per congiungere il Palazzo coi giardini di Mecenate. Non si poté peraltro impedire che fossero inghiottiti dal fuoco il Palazzo, la residenza e quanto la circondava. Per prestare soccorso al popolo, che vagava senza più una dimora, aprì il Campo di Marte, i monumenti di Agrippa e i suoi giardini, e fece sorgere baracche provvisorie, per dare ricetto a questa massa di gente bisognosa di tutto. Da Ostia e dai comuni vicini vennero beni di prima necessità e il prezzo del frumento fu abbassato fino a tre sesterzi per moggio. Provvedimenti che, per quanto intesi a conquistare il popolo, non ebbero l'effetto voluto, perché era circolata la voce che, nel momento in cui Roma era in preda alle fiamme, Nerone fosse salito sul palcoscenico del Palazzo a cantare la caduta di Troia, raffigurando in quell'antica sciagura il disastro attuale.


La persecuzione dei Cristiani (Tacito, Annales, Liber XV, 44)
Perciò, per far cessare tale diceria, Nerone si inventò dei colpevoli e sottomise a pene raffinatissime coloro che la plebaglia, detestandoli a causa delle loro nefandezze, denominava cristiani. Origine di questo nome era Cristo, il quale sotto l'impero di Tiberio era stato condannato al supplizio dal procuratore Ponzio Pilato; e, momentaneamente sopita, questa esiziale superstizione di nuovo si diffondeva, non solo per la Giudea, focolare di quel morbo, ma anche a Roma, dove da ogni parte confluisce e viene tenuto in onore tutto ciò che vi è di turpe e di vergognoso. Perciò, da principio vennero arrestati coloro che confessavano, quindi, dietro denuncia di questi, fu condannata una ingente moltitudine, non tanto per l’accusa dell'incendio, quanto per odio del genere umano. Inoltre, a quelli che andavano a morire si aggiungevano beffe: coperti di pelli ferine, perivano dilaniati dai cani, o venivano crocifissi oppure arsi vivi in guisa di torce, per servire da illuminazione notturna al calare della notte. Nerone aveva offerto i suoi giardini e celebrava giochi circensi, mescolato alla plebe in veste d’auriga o ritto sul cocchio. Perciò, benché si trattasse di rei, meritevoli di pene severissime, nasceva un senso di pietà, in quanto venivano uccisi non per il bene comune, ma per la ferocia di un solo uomo.”

LA MORTE DI SENECA
http://www.filosofico.net/Antologia_file/AntologiaT/tacito1.htm


LEX DE IMPERIO VESPASIANI
http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/alfresco/d/d/workspace/SpacesStore/f681de33-ebfb-4dee-ab74-a0ef083df4fb/prof.ssa_elena_tassi-la_lex_de_imperio_vespasiani1.pdf

http://online.scuola.zanichelli.it/lineamentidistoria-files/Vol_2/PDF_testimoni/LdS2_LexdeImperio.pdf

http://www.treccani.it/scuola/lezioni/in_aula/storia/vespasiano/mori_vespasiano.html


LA COLONNA TRAIANA



MARCO AURELIO: L'IMPERATORE FILOSOFO




LA COLONNA AURELIANA



mercoledì 28 ottobre 2015

PASOLINI

Pasolini: il mito
http://www.leparoleelecose.it/?p=23962

PASOLINI: VITA E OPERE
http://www.raistoria.rai.it/articoli/muore-pier-paolo-pasolini/23081/default.aspx

MORTE DI PASOLINI
http://youtu.be/BnQL1q3SNtM

O. Fallaci, "E' stato un massacro!"
http://www.pierpaolopasolini.eu/processi_pelosi_massacro.htm

Per colpa della  verità si può anche morire? La risposta è affermativa. Ma altra è l’ulteriore domanda a cui si dovrebbe rispondere: per quale verità Pasolini potrebbe essere stato ucciso? Due le possibili ipotesi, fra loro, del resto, intimamente connesse: innanzitutto, quella sugli attentati che insanguinavano l’Italia e sulla corruzione della classe politica italiana, tanto ch’egli reclamava un “processo” a carico di ministri e politici; ma anche quella sulla morte di Enrico Mattei, momento culminante, almeno nel romanzo incompiuto Petrolio, di un complotto alla cui testa riteneva si collocasse Eugenio Cefis, personaggio dissimulato in Petrolio, sotto il nome di Troya.
Presidente dell’Eni nella seconda metà degli anni Sessanta e quindi a capo della Montedison dal maggio 1971, Cefis aveva usato la sua preminente posizione in campo economico e finanziario, delegatagli dai politici, per organizzare un centro di potere che si avvaleva, in maniera sempre più aggressiva, delle disponibilità del gruppo da lui gestito per annettere a sé uomini, gruppi e mezzi nei diversi settori della vita nazionale. Il “sistema” da lui posto in essere era divenuto progressivamente un vero e proprio potentato, che sfruttando le risorse imprenditoriali pubbliche condizionava pesantemente la stampa, usava illecitamente i servizi segreti dello Stato a scopo d’informazione, praticava l’intimidazione e il ricatto, compiva manovre finanziarie spregiudicate oltre i limiti della legalità, corrompeva politici, stabiliva alleanze con ministri, partiti e correnti.
Il “sistema Cefis” cominciò a declinare, come tale, dalla metà degli anni Settanta fino all’uscita di scena del suo organizzatore nel 1977. Allo stesso tempo, si andava sviluppando il “sistema P2”. Vi sono fra i due “sistemi”elementi di continuità e non pochi sono i punti di contatto tra le due fasi della vita politica italiana, nelle quali hanno avuto un peso rilevante raggruppamenti palesi ed occulti operanti nell’illegalitàSi è parlato della Loggia P2 come di un’organizzazione per delinquere interna alla classe dirigente, e la sua posta in gioco sarebbe stato il potere e il suo esercizio illegittimo e occulto con l’uso di ricatti, di rapine su larga scala, di attività eversive e di giganteschi imbrogli finanziari fino al ricorso alla eliminazione fisica.
Forse, sarà stato un caso che Pier Paolo Pasolini abbia trovato la morte proprio sul finire del 1975. Non si può trascurare il fatto, però, ch’egli avesse affermato di sapere i nomi dei responsabili della “serie di «golpe» istituitasi a sistema di protezione del potere, col suo orrendo corredo di stragi e attentati alle istituzioni, in combutta con servizi segreti stranieri, vecchi generali, per tenere in piedi, di riserva, l’organizzazione di un potenziale colpo di Stato, vecchi fascisti “ideatori di golpe”, giovani neo-fascisti “autori materiali delle prime stragi”, “«ignoti» autori materiali delle stragi più recenti, criminali mafiosi e comuni. Certo, aveva anche affermato di sapere senza averne le prove, ma aveva spiegato di sapere perché era un intellettuale, i cui strumenti del mestiere sono il “cerca(re) di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace”, ed altresì il “…coordina(re) fatti anche lontani, …rimette(re) insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, …ristabili(re) la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero”.

IL CASO MATTEI
Presidente dell’ENI, muore nel 1962 in un misterioso incidente aereo a Bescapé, in provincia di Pavia: l’aereo sarebbe esploso in volo. Secondo alcuni, il mandante dell'omicidio di Mattei era stato il suo ex braccio destro all'ENI Eugenio Cefis, che pochi mesi prima era stato costretto alle dimissioni dallo stesso Mattei quando questi si sarebbe reso conto che Cefis era manovrato dalla CIA.[49] Pochi giorni dopo l'attentato Cefis fu reintegrato nell'ENI come vicepresidente e successivamente ne divenne presidente stesso. Cefis non fu mai incriminato ufficialmente.
Il mistero della fine di Mattei si complicò dopo la sua morte e arrivò a coinvolgere anche alcune delle persone che ebbero a che fare con Mattei e con l'inchiesta sull'incidente: esse morirono in circostanze misteriose.
Il caso più noto è certamente quello del giornalista Mauro De Mauro, il quale si era mostrato assai disponibile a fornire a Francesco Rosi, autore del noto film dei primi anni settanta su Enrico Mattei, materiale (probabilmente nastri magnetici audio) ritenuto di estremo interesse per la ricostruzione dei fatti che il regista andava raccogliendo come base documentale per la sceneggiatura. Pochissimo prima dell'incontro previsto con Rosi, De Mauro scomparve nel nulla. Ufficialmente considerato un delitto di mafia, il caso De Mauro è riemerso in tempi recenti a seguito delle dichiarazioni di un pentito, Tommaso Buscetta, il quale lo poneva in collegamento con la morte di Mattei.
Per combinazione, la maggior parte degli investigatori che si occuparono della scomparsa di De Mauro, tanto della Polizia quanto dei Carabinieri, effettivamente morirono a loro volta assassinati dalla mafia; il più famoso fra loro era il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, nel frattempo divenuto prefetto di Palermo, e la stessa fine toccò al vicequestore Boris Giuliano, capo della Squadra Mobile della stessa città.
Curiosamente, una delle ultime opere di Pier Paolo Pasolini fu un romanzo dal titolo Petrolio. Lo stesso Pasolini si interessò molto alla figura di Mattei e al mistero della sua morte. Anche Pasolini morì in circostanza poco chiare.

SITOGRAFIA
1) http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/11/08/pier-paolo-pasolini-di-quale-verita-e-morto-veramente/2199913/
2) https://it.wikipedia.org/wiki/Enrico_Mattei#L.27incidente_aereo_e_la_morte




"Le ceneri di Gramsci" è una poesia di Pier Paolo Pasolini, contenuta nella raccolta omonima pubblicata nel 1957.  Il testo è diviso in sei parti. 



Pasolini sulla tomba di Gramsci


Il poeta si trova davanti alla tomba di Antonio Gramsci, politico e pensatore comunista, presso il cimitero degli inglesi a Roma, e dialoga con le sue spoglie, descrivendo un maggio autunnale, che sembra rappresentare il silenzio del presente, "il grigiore del mondo",così lontano dalle speranze del passato, quando il giovane Gramsci "delineava l'ideale che illumina". Da questo primo confronto nascono le riflessioni di Pasolini sulla sua vita e sulla società italiana contemporanea. Emerge il tema pasoliniano del cambiamento della società, avvertito drammaticamente dallo scrittore, che, sempre rivolgendosi a Gramsci, ricorda il mondo rurale, che sta ormai scomparendo. Pasolini rintraccia i tratti di questo mondo in quello proletario e povero delle borgate, quartieri popolari e periferici di Roma, da cui si sente attratto. Il poeta ammira la vita proletaria per "la sua allegria", per "la sua natura", non "la  millenaria sua lotta". A Pasolini il popolo non interessa nella sua lotta di classe e nella sua coscienza di classe, ma nelle sue espressioni più autentiche e vitali, e quindi più sincere.
L’amore per il mondo proletario, destinato a scomparire, risucchiato dalla società dei consumi, è evidente nella malinconica descrizione finale del quartiere operaio Testaccio: gli operai tornano nelle loro case, si accendono rari lumi, i giovani gridano, "fischiano", "giocano" nelle piazze. E Pasolini, osservatore di questo mondo e non partecipe della spensieratezza dei ragazzi, ne constata l’inevitabile declino. La società dei consumi, imponendo nuovi valori e un nuovo linguaggio, è la causa della fine di questo mondo, dal momento che ha omologato i costumi degli italiani, eliminando i tratti più originali del mondo popolare.




(...)      Manca poco alla cena;

brillano i rari autobus del quartiere,
con grappoli d'operai agli sportelli,
e gruppi di militari vanno, senza fretta,

verso il monte (...) nell'ombra (...)

e, non lontano, tra casette
abusive ai margini del monte, o in mezzo

a palazzi, quasi a mondi, dei ragazzi leggeri
come stracci giocano alla brezza
non più fredda, primaverile; ardenti

di sventatezza giovanile la romanesca
loro sera di maggio scuri adolescenti
fischiano pei marciapiedi, nella festa

vespertina (...).

È un brusio la vita, e questi persi
in essa, la perdono serenamente
se il cuore ne hanno pieno: a godersi

eccoli, miseri, la sera: e potente
in essi, inermi, per essi, il mito
rinasce … Ma io, con il cuore cosciente,

di chi soltanto nella storia ha vita,
potrò mai più con pura passione operare,
se so che la nostra storia è finita?
da Pasolini, Le ceneri di Gramsci, VI

http://www.corriere.it/cultura/eventi/2011/secolo-poesia/notizie/pasolini-al-principe_f5e630a8-56f7-11e1-a6d2-3f65acf5f759.shtml


PASOLINI REGISTA

http://www.centrostudipierpaolopasolinicasarsa.it/molteniblog/che-cosa-sono-le-nuvole-unanalisi-di-daniele-gallo/


Che cosa sono le nuvole?

Iago Cosa senti dentro di te? Concentrati bene. Cosa senti?
Otello Sì sì, si sente qualcosa che c'è!
Iago Quella è la verità. Ma, ssh! Non bisogna nominarla, perché appena la nomini, non c'è più.


La storia è una rivisitazione dell'Otello, recitato da un gruppo di marionette (TotòFranco FranchiCiccio IngrassiaNinetto DavoliLaura BettiAdriana Asti), che sulla scena interpretano i ruoli shakespeariani ma che dietro le quinte si pongono delle domande sul perché fanno ciò che fanno. La rappresentazione è interrotta dal pubblico che, nel momento più drammatico, l'omicidio di Desdemona (Laura Betti) da parte di Otello (Ninetto Davoli), irrompe sulla scena e, disapprovando i comportamenti di lui e di Iago (Totò), li fa a pezzi. Il monnezzaro (Domenico Modugno) getta cantando le due marionette in una discarica, dove i due fantocci rimangono incantati a guardare le nuvole e notano la "straziante, meravigliosa bellezza del creato". Il cortometraggio prende il titolo proprio da questa scena finale.
Questo episodio è l'ultima pellicola cinematografica in cui appare Totò ed è l'ultimo film girato dall'artista.
Excipit del film
Otello: Iiih! E che so' quelle?  
Jago: Quelle sono... sono le nuvole...
Otello: E che so' ste nuvole? 
Iago: Mah!
Otello: Quanto so' belle, quanto so' belle... quanto so' belle...
Jago:  Ah, straziante meravigliosa bellezza del creato!


Avion Travel, Cosa sono le nuvole: testo di P.P.Pasolini 

.... il derubato che sorride
ruba qualcosa al ladro
ma il derubato che piange
ruba qualcosa a se stesso
perciò io vi dico
finché sorriderò 

tu non sarai perduta...



MESSAGGIO AI GIOVANI

Non lasciarti tentare dai campioni dell'infelicità,
della mutria cretina, della serietà ignorante. Sii allegro.
(...)
Essi ti insegnano a non splendere. E tu splendi,
invece, Gennariello.
(Pasolini, da Lettere luterane)


Penso che sia necessario educare le nuove generazioni al valore della sconfitta. Alla sua gestione. All'umanità che ne scaturisce. A costruire un'identità capace di avvertire una comunanza di destino, dove si può fallire e ricominciare senza che il valore e la dignità ne siano intaccati. A non divenire uno sgomitatore sociale, non passare sul corpo degli altri per arrivare primo. In questo mondo di vincitori volgari e disonesti, di prevaricatori falsi e opportunisti, della gente che conta, che occupa il potere, che scippa il presente, figuriamoci il futuro, a tutti i nevrotici del successo, dell'apparire, del diventare. A questa antropologia del vincente preferisco di gran lunga chi perde. È un esercizio che mi riesce bene. E mi riconcilia con il mio sacro poco. Ma io sono un uomo che preferisce perdere piuttosto che vincere con modi sleali e spietati. Grave colpa da parte mia, lo so! E il bello è che ho la sfacciataggine di difendere tale colpa, di considerarla quasi una virtù(da un'intervista del 1961 al settimanale Vie nuove)

POESIA DELLA TRADIZIONE (da Trasumanar e organuizzar)
Oh generazione sfortunata!
Cosa succederà domani, se tale classe dirigente -
quando furono alle prime armi
non conobbero la poesia della tradizione
ne fecero un’esperienza infelice perché senza
sorriso realistico gli fu inaccessibile
e anche per quel poco che la conobbero,
dovevano dimostrare
di voler conoscerla sì ma con distacco, fuori dal gioco.
Oh generazione sfortunata!
che nell’inverno del ‘70 usasti cappotti e scialli fantasiosi
e fosti viziata
chi ti insegnò a non sentirti inferiore -
rimuovesti le tue incertezze divinamente infantili -
chi non è aggressivo è nemico del popolo! Ah!
I libri, i vecchi libri passarono sotto i tuoi occhi
come oggetti di un vecchio nemico
sentisti l’obbligo di non cedere
davanti alla bellezza nata da ingiustizie dimenticate
fosti in fondo votata ai buoni sentimenti
da cui ti difendevi come dalla bellezza
con l’odio razziale contro la passione;
venisti al mondo, che è grande eppure così semplice,
e vi trovasti chi rideva della tradizione,
e tu prendesti alla lettera tale ironia fintamente ribalda,
erigendo barriere giovanili contro la classe dominante del passato
la gioventù passa presto; oh generazione sfortunata,
arriverai alla mezza età e poi alla vecchiaia
senza aver goduto ciò che avevi diritto di godere
e che non si gode senza ansia e umiltà
e così capirai di aver servito il mondo
contro cui con zelo «portasti avanti la lotta»:
era esso che voleva gettar discredito sopra la storia - la sua;
era esso che voleva far piazza pulita del passato - il suo;
oh generazione sfortunata, e tu obbedisti disobbedendo!
Era quel mondo a chiedere ai suoi nuovi figli di aiutarlo
a contraddirsi, per continuare;
vi troverete vecchi senza l’amore per i libri e la vita:
perfetti abitanti di quel mondo rinnovato
attraverso le sue reazioni e repressioni, sì, sì, è vero,
ma sopratutto attraverso voi, che vi siete ribellati
proprio come esso voleva, Automa in quanto Tutto;
non vi si riempirono gli occhi di lacrime
contro un Battistero con caporioni e garzoni
intenti di stagione in stagione
né lacrime aveste per un’ottava del Cinquecento,
né lacrime (intellettuali, dovute alla pura ragione)
non conosceste o non riconosceste i tabernacoli degli antenati
né le sedi dei padri padroni, dipinte da
-e tutte le altre sublimi cose
non vi farà trasalire (con quelle lacrime brucianti)
il verso di un anonimo poeta simbolista morto nel
la lotta di classe vi cullò e vi impedì di piangere:
irrigiditi contro tutto ciò che non sapesse di buoni sentimenti
e di aggressività disperata
passaste una giovinezza
e, se eravate intellettuali,
non voleste dunque esserlo fino in fondo,
mentre questo era poi fra i tanti il vostro dovere,
e perché compiste questo tradimento?
per amore dell’operaio: ma nessuno chiede a un operaio
di non essere operaio fino in fondo
gli operai non piansero davanti ai capolavori
ma non perpetrarono tradimenti che portano al ricatto
e quindi all’infelicità
oh sfortunata generazione
piangerai, ma di lacrime senza vita
perché forse non saprai neanche riandare
a ciò che non avendo avuto non hai neanche perduto:
povera generazione calvinista come alle origini della borghesia
fanciullescamente pragmatica, puerilmente attiva
tu hai cercato salvezza nell’organizzazione
(che non può altro produrre che altra organizzazione)
e hai passato i giorni della gioventù
parlando il linguaggio della democrazia burocratica
non uscendo mai della ripetizione delle formule,
ché organizzar significar per verba non si poria,
ma per formule sì,
ti troverai a usare l’autorità paterna in balia del potere
imparlabile che ti ha voluta contro il potere,
generazione sfortunata!
Io invecchiando vidi le vostre teste piene di dolore
dove vorticava un’idea confusa, un’assoluta certezza,
una presunzione di eroi destinati a non morire -
oh ragazzi sfortunati, che avete visto a portata di mano
una meravigliosa vittoria che non esisteva!

(Pasolini, La poesia della tradizione, da Trasumanar e organizzar)



martedì 27 ottobre 2015

CATILINA

I RITRATTI DI CATILINA

Testo latino

L. Catilina, nobili genere natus, fuit magna vi et animi et corporis, sed ingenio malo pravoque. 2. Huic ab adulescentia bella intestina, caedes, rapinae, discordia civilis grata fuere ibique iuventutem suam exercuit. 3. Corpus patiens inediae, algoris, vigiliae supra quam cuiquam credibile est. 4. Animus audax, subdolus, varius, cuius rei lubet simulator ac dissimulator, alieni adpetens, sui profusus, ardens in cupiditatibus; satis eloquentiae, sapientiae parum. 5. Vastus animus inmoderata, incredibilia, nimis alta semper cupiebat. 6. Hunc post dominationem L. Sullae lubido maxuma invaserat rei publicae capiundae; neque id quibus modis adsequeretur, dum sibi regnum pararet, quicquam pensi habebat. 7. Agitabatur magis magisque in dies animus ferox inopia rei familiaris et conscientia scelerum, quae utraque iis artibus auxerat, quas supra memoravi. 8. Incitabant praeterea corrupti civitatis mores, quos pessuma ac divorsa inter se mala, luxuria atque avaritia, vexabant.
(Sallustio, De coniuratione Catilinae, V)


Traduzione di Luca Canali


1. Catilina, nato di nobile stirpe, fu di grande vigore d'animo
e di membra, ma d'ingegno malvagio e vizioso. 2. Fin dalla prima giovinezza gli piacquero guerre intestine, stragi, rapine, discordie civili, e in esse spese tutta la sua gioventù. 3. Il corpo resistente alla fame, al gelo, alle veglie oltre ogni immaginazione. 4. Animo temerario, subdolo, mutevole, simulatore e dissimulatore di qualsivoglia cosa, avido dell'altrui, prodigo del suo, ardente nelle cupidigie, facile di parola, niente di saggezza. 5. Spirito vasto, anelava sempre alle cose smisurate, al fantastico, all'immenso. 6. Dopo la dominazione di L. Silla, era stato invaso da una sfrenata cupidigia d'impadronirsi del potere, senza farsi scrupolo della scelta dei mezzi pur di procurarsi il regno. 7. Sempre di più, di giorno in giorno quell'animo fiero era agitato dalla povertà e dal rimorso dei delitti, entrambi accresciuti dai vizi sopra ricordati. 8. Lo incitavano, inoltre, i costumi d'una cittadinanza corrotta, tormentata da due mali funesti e fra loro discordi, il lusso e l'avidità.


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Particolare dell'affresco di Cesare Maccari, 1880

Iam primum adulescens Catilina multa nefanda stupra fecerat, cum virgine nobili, cum sacerdote Vestae, alia huiusce modi contra ius fasque. Postremo captus amore Aureliae Orestillae, cuius praeter formam nihil umquam bonus laudavit, quod ea nubere illi dubitabat timens privignum adulta aetate, pro certo creditur, necato filio, vacuam domum scelestis nuptiis fecisse. Quae quidem res mihi in primis videtur causa fuisse facinus maturandi. Namque animus impurus, dis hominibusque infestus, neque vigiliis neque quietibus sedari poterat: ita conscientia mentem excitam vastabat. Igitur colos ei exanguis, foedi oculi, citus modo, modo tardus incessus: prorsus in facie vultuque vecordia inerat.


(Sallustio, De Catilinae coniuratione, XV)

SALLUSTIO E I RITRATTI "PARADOSSALI"
Nel tipo catilinario l'energia, l'industria, le grandi e anche eccezionali capacità (magna vis et animi et corporis), la resistenza alle privazioni e alle fatiche, il coraggio non sono mai messi al servizio di valori positivi (...) ma sono sempre utilizzati da una volontà perversa a scopi criminali.
Sempronia, donna di audacia virilis, ha cultura, grazia; ma anche in questo caso Sallustio sottolinea la violazione del decus e della pudicitia. E, naturalmente, non è pensabile che Sempronia metta la sua virilis audacia al servizio della comunità.
Ciò che resta in comune tra i due tipi paradossali è l'energia notevole o eccezionale, magna vis  et corporis et animi.
Nel ritratto sallustiano la "paradossalità" deriva non tanto dalla caduta delle qualità positive, ma piuttosto dalla rottura del legame di queste ultime, (dell'energia, del coraggio, della tenacia, della cultura) con la pietas, con il rispetto dei valori della famiglia e dello stato, con i valori del mos maiorum.
(Cfr. Antonio La Penna, Il ritratto paradossale da Silla a Petronio, in Aspetti del pensiero storico latino, Einaudi, Torino, 1978)


LA FINE DELLA CONGIURA: Cicerone, Catilinarie, IV,7,14-15 - 8, 16
Quel che dovete temere, a mio giudizio, è che le vostre disposizioni appaiano troppo blande in presenza di un crimine così immane e mostruoso! Ma molto di più dobbiamo temere di apparire crudeli verso la patria se saremo miti nella condanna, piuttosto che duri verso i nostri peggiori nemici se saremo inflessibili!

VII 14 Tuttavia, padri coscritti, non posso nascondere quanto sento dire. Ci sono in giro voci che arrivano sino a me: a quanto pare, alcuni temono che io non disponga di mezzi sufficienti per eseguire quanto voi deciderete oggi.
Ogni cosa è stata prevista, disposta, sistemata, padri coscritti, non solo con tutto l'impegno e lo zelo di cui sono capace, ma
soprattutto grazie al desiderio del popolo romano di difendere la sua sovranità e di conservare i beni comuni. Tutti sono venuti qui, uomini di ogni classe, condizione, età! Pieno è il Foro, pieni i templi intorno al Foro, piena ogni strada che porta a questo tempio.
Dai tempi della fondazione di Roma, è questa l'unica circostanza in cui tutti nutrono gli stessi intendimenti, a eccezione di chi, accorgendosi di essere a un passo dalla fine, ha deciso di morire insieme a tutti gli altri piuttosto che da
solo.
15 Questi individui ben volentieri li metto a parte, li separo; per me, non vanno annoverati tra i cittadini colpevoli, ma tra i peggiori nemici!
Ma gli altri, o dèi immortali!, con che affluenza, con che impeto, con che coraggio sono uniti in nome della salvezza e del prestigio comune!
Dovrei ricordare i cavalieri? Se cedono a voi senatori il primato del grado e dell'autorità, non vi sono certo inferiori per devozione allo Stato! Dopo un dissenso durato molti anni hanno ritrovato l'unione e la concordia con voi: la giornata di oggi e la causa presente li rendono vostri alleati! Se riusciremo a conservare per sempre l'unione politica che si è rafforzata sotto il mio consolato, vi assicuro che in futuro nessuna crisi politica colpirà lo Stato in nessuna delle sue parti.
Con lo stesso impeto vedo che sono accorsi per difendere lo Stato i tribuni dell'erario, uomini di straordinario valore.
In modo analogo tutti gli scribi, che oggi si trovavano per caso nell'erario, hanno tralasciato le operazioni di sorteggio per votarsi alla salvezza comune.
16 Sono presenti in massa tutti i liberi, anche i più umili. C'è qualcuno a cui questi templi, il volto della città, il possesso della libertà e infine questa stessa luce e il suolo comune della patria non ispirino piacere, ma soprattutto un sentimento di dolcezza e di gioia?
VIII È importante conoscere, padri coscritti, la devozione dei liberti i quali, guadagnandosi un posto nella nostra comunità con il loro valore, considerano questa la loro vera patria, una patria che chi è nato qui e nelle famiglie più altolocate non ha considerato tale, ma alla stregua di una città nemica. Ma perché menziono queste classi e questi uomini che le proprietà, l'interesse comune e infine il bene più dolce che c'è, la libertà, hanno spinto qui a difendere la vita della patria?
Non c'è schiavo, purché viva in condizioni tollerabili, che non inorridisca di fronte alla pazzia dei nostri concittadini, che non aspiri al mantenimento della situazione attuale, che non contribuisca alla salvezza comune, per quanto osi, per quanto possa. 


TESTI A CONFRONTO: Sallustio e Pavese

a) SALLUSTIO, DE CATILINAE CONIURATIONE, 61
Il campo dopo la battaglia
Sed confecto proelio tum vero cerneres, quanta audacia quantaque animi vis fuisset in exercitu Catilinae. Nam fere quem quisque vivus pugnando locum ceperat, eum amissa anima corpore tegebat. Pauci autem, quos medios cohors praetoria disiecerat, paulo divorsius, sed omnes tamen advorsis volneribus conciderant. Catilina vero longe a suis inter hostium cadavera repertus est paululum etiam spirans ferociamque animi, quam habuerat vivus, in voltu retinens. Postremo ex omni copia neque in proelio neque in fuga quisquam civis ingenuus captus est: ita cuncti suae hostiumque vitae iuxta pepercerant. Neque tamen exercitus populi Romani laetam aut incruentam victoriam adeptus erat; nam strenuissumus quisque aut occiderat in proelio aut graviter volneratus discesserat. Multi autem, qui e castris visundi aut spoliandi gratia processerant, volventes hostilia cadavera amicum alii, pars hospitem aut cognatum reperiebant; fuere item, qui inimicos suos cognoscerent. Ita varie per omnem exercitum laetitia, maeror, luctus atque gaudia agitabantur.

b) C. PAVESE, La casa in collina, 1948

Ho visto i morti sconosciuti, i morti repubblichini. Sono questi che mi hanno svegliato. Se un ignoto, un nemico, diventa morendo una cosa simile, se ci si arresta e si ha paura a scavalcarlo, vuol dire che anche vinto il nemico è qualcuno, che dopo avesse sparso il sangue bisogna placarlo, dare una voce a questo sangue, giustificare chi l'ha sparso. Guardare certi morti è umiliante. Non sono più faccenda altrui; non ci si sente capitati sul posto per caso. Si ha l'impressione che lo stesso destino che ha messo a terra quei corpi, tenga noialtri inchiodati a vedere, a riempircene gli occhi. Non è paura, non è la solita viltà. Ci si sente umiliati perché si capisce - si tocca con gli occhi - che al posto dei morto potremmo essere noi: non ci sarebbe differenza, e se viviamo lo dobbiamo al cadavere imbrattato. Per questo ogni guerra è una guerra civile: ogni caduto somiglia a chi resta, e gliene chiede ragione.


Io non credo che possa finire. Ora che ho visto cos'è guerra, cos'è guerra civile, so che tutti, se un giorno finisse, dovrebbero chiedersi: - E dei caduti che facciamo? perché sono morti? - Io non saprei cosa rispondere. Non adesso, almeno. Né mi pare che gli altri lo sappiano. Forse lo sanno unicamente i morti, e soltanto per loro la guerra è finita davvero.



I MALI DI ROMA - BELLUM IUGHTHINUM 41

Ceterum mos partium et factionum ac deinde omnium malarum artium paucis ante annis Romae ortus est otio atque abundantia earum rerum, quae prima mortales ducunt. Nam ante Carthaginem deletam populus et senatus Romanus placide modesteque inter se rem publicam tractabant, neque gloriae neque dominationis certamen inter civis erat: metus hostilis in bonis artibus civitatem retinebat. Sed ubi illa formido mentibus decessit, scilicet ea, quae res secundae amant, lascivia atque superbia incessere. Ita quod in aduersis rebus optauerant otium, postquam adepti sunt, asperius acerbiusque fuit. Namque coepere nobilitas dignitatem, populus libertatem in libidinem vertere, sibi quisque ducere trahere rapere. Ita omnia in duas partis abstracta sunt, res publica, quae media fuerat, dilacerata. Ceterum nobilitas factione magis pollebat, plebis vis soluta atque dispersa in multitudine minus poterat. Paucorum arbitrio belli domique agitabatur; penes eosdem aerarium prouinciae magistratus gloriae triumphique erant; populus militia atque inopia urgebatur; praedas bellicas imperatores cum paucis diripiebant: interea parentes aut parui liberi militum, uti quisque potentiori confinis erat, sedibus pellebantur. Ita cum potentia auaritia sine modo modestiaque invadere, polluere et vastare omnia, nihil pensi neque sancti habere, quoad semet ipsa praecipitauit. Nam ubi primum ex nobilitate reperti sunt, qui veram gloriam iniustae potentiae anteponerent, moveri civitas et dissensio civilis quasi permixtio terrae oriri coepit.

IL RITRATTO DI GIUGURTA, BELLUM IUGURTHINUM, 6
[6.1] Qui ubi primum adolevit, pollens viribus, decora facie, sed multo maxume ingenio validus, non se luxu neque inertiae corrumpendum dedit, sed, uti mos gentis illius est, equitare, iaculari; cursu cum aequalibus certare et, quom omnis gloria anteiret, omnibus tamen carus esse; ad hoc pleraque tempora in venando agere, leonem atque alias feras primus aut in primis ferire: plurumum facere, minumum ipse de se loqui. [2] Quibus rebus Micipsa tametsi initio laetus fuerat, existumans virtutem Iugurthae regno suo gloriae fore, tamen postquam hominem adulescentem exacta sua aetate et parvis liberis magis magisque crescere intellegit, vehementer eo negotio permotus multa cum animo suo volvebat. [3] Terrebat eum natura mortalium avida imperi et praeceps ad explendam animi cupidinem, praeterea opportunitas suae liberorumque aetatis, quae etiam mediocris viros spe praedae transvorsos agit, ad hoc studia Numidarum in Iugurtham accensa, ex quibus, si talem virum dolis interfecisset, ne qua seditio aut bellum oriretur, anxius erat.

Traduzione

[6.1] Costui, non appena fu ragazzo - e prestante di forza fisica, di bell’aspetto, ma soprattutto ben fornito d’intelligenza -,  non si fece indebolire dal lusso e dalla pigrizia, ma, com’è abitudine di quel popolo, andava a cavallo e si esercitava nel lancio del giavellotto; gareggiava nella corsa con i coetanei e, nonostante superasse tutti in gloria, era comunque simpatico a tutti; oltre a ciò, trascorreva la maggior parte del tempo nell’andare a caccia e per primo o tra i primi feriva leoni e altre belve: faceva moltissimo, ma parlava di sé pochissimo. [2] E sebbene all’inizio Micipsa fosse stato contento di queste cose, pensando che il valore di Giugurta sarebbe stato di vanto per il suo regno, tuttavia, dopo che capì che il giovane si faceva sempre più uomo mentre la sua vita era ormai passata e i suoi figli erano piccoli, fortemente preoccupato da quella situazione, pensava a molte cose tra sé. [3]  Lo spaventava la natura degli uomini, insaziabile di potere e incline a soddisfare i desideri del proprio animo, poi la condizione dell’età sua e dei figli, che spinge anche gli uomini mediocri fuori dalla retta via con la speranza di un successo, e oltre a questo le simpatie dei Numidi nate nei confronti di Giugurta, dalle quali era in ansia che nascesse una qualche rivolta o una guerra, se avesse ucciso con l’inganno un tale uomo.