La scuola di Atene

La scuola di Atene

sabato 24 marzo 2018

LA LINEA ANTINOVECENTISTA E LA CRISI DEL SIMBOLISMO IN ITALIA

UMBERTO SABA (Trieste 1883 - Gorizia 1957)

Saba prosatore: Ernesto
https://prometeo3.palumboeditore.it/pdf/web/viewer.html?file=https%3A%2F%2Fprometeo3.palumboeditore.it%2Fpublic%2Fmeta%2FT00022.pdf




AMAI
Amai trite parole che non uno
osava. M’incantò la rima fiore
amore,
la più antica difficile del mondo.

Amai la verità che giace al fondo,
quasi un sogno obliato, che il dolore
riscopre amica. Con paura il cuore
le si accosta, che più non l’abbandona.

Amo te che mi ascolti e la mia buona
carta lasciata alla fine del mio gioco.
(dalla sezione Mediterranee, 1945-46, in Canzoniere)

LA CAPRA
http://online.scuola.zanichelli.it/letterautori-files/volume-3/pdf-online/37-saba.pdf

ULISSE
http://www.edatlas.it/documents/9a37bdb0-c95d-49b7-9219-392510871bf4

Mio padre è stato per me l'assassino
http://online.scuola.zanichelli.it/lettureingioco/files/2011/04/antologia_vol1-05.pdf

La poesia "onesta"
http://www.letteraturaitalia.it/5-autori-e-opere-novecento/la-poesia-onesta-da-quello-che-resta-da-fare-ai-poeti-di-umberto-saba/



CESARE PAVESE
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
http://online.scuola.zanichelli.it/letterautori-files/volume-2/pdf-verde/letterautori_verde_volume2_leopardi_pavese.pdf






SANDRO PENNA (Perugia 1906 - Roma 1977)

La vita...è ricordarsi di un risveglio...
http://www.edatlas.it/documents/eaa22541-236d-4b12-bb7b-5f940ea61fbd

Sul molo il vento soffia forte
http://www.nuoviargomenti.net/poesie/sul-molo-il-vento-soffia-forte/








VITTORIO SERENI (Luino, Varese, 1913 - Milano 1983)

Non sa più nulla, è alto sulle ali
http://www.edu.lascuola.it/edizioni-digitali/Convivio/VB/letture/nonsa.pdf

Video
Vittorio Sereni si racconta
http://www.raiscuola.rai.it/articoli/vittorio-sereni-si-racconta/8386/default.aspx

Luperini: la poesia di Sereni
https://prometeo3.palumboeditore.it/biblioteca#modal-one





MONTALE (Genova, 1896 -  Milano, 1981) E IL NEOALLEGORISMO



Meriggiare pallido e assorto
Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.

Nelle crepe dei suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano
a sommo di minuscole biche.

Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.

E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.
(Da Ossi di seppia, 1925)

Non chiederci la parola (da Ossi di seppia)
http://www.digila.it/public/iisbenini/transfert/Bernazzani/5B%20SIA/Materiale/CD_292Non%20chiederci%20la%20parola.pdf

Forse un mattino andando in un'aria di vetro (da Ossi di seppia)
http://online.scuola.zanichelli.it/letterautori-files/volume-3/pdf-online/45-montale.pdf

Nuove stanze
Poi che gli ultimi fili di tabacco
al tuo gesto si spengono nel piatto
di cristallo, al soffitto lenta sale
la spirale del fumo
che gli alfieri e i cavalli degli scacchi
guardano stupefatti; e nuovi anelli
la seguono, più mobili di quelli
delle tue dita.
La morgana che in cielo liberava
torri e ponti è sparita
al primo soffio; s’apre la finestra
non vista e il fumo s’agita. Là in fondo,
altro storno si muove: una tregenda
d’uomini che non sa questo tuo incenso,
nella scacchiera di cui puoi tu sola
comporre il senso.
Il mio dubbio d’un tempo era se forse
tu stessa ignori il giuoco che si svolge
sul quadrato e ora è nembo alle tue porte:
follia di morte non si placa a poco
prezzo, se poco è il lampo del tuo sguardo,
ma domanda altri fuochi, oltre le fitte
cortine che per te fomenta il dio
del caso, quando assiste.
Oggi so ciò che vuoi; batte il suo fioco
tocco la Martinella ed impaura
le sagome d’avorio in una luce
spettrale di nevaio. Ma resiste
e vince il premio della solitaria
veglia chi può con te allo specchio ustorio
che accieca le pedine opporre i tuoi
occhi d’acciaio.
(da Le occasioni, 1939)

La poesia si apre con un interno, il poeta e Clizia stanno giocando a scacchi. L’attenzione è tutta concentrata sul gesto di spegnere la sigaretta e sugli anelli che la donna porta alle dita. Questi sono portatori di una densa simbologia magica: una costruzione di fumo, che sembra scaturire da questi incantati gioielli, si addensa nella stanza: si tratta della cittadella della Cultura, di cui la donna è la rappresentante. Ma la realtà incombe violenta, la finestra si spalanca e il miraggio è spazzato via, le vane difese vengono sopraffatte.

La guerra, o meglio, i preparativi ad essa, rappresentano la realtà esterna, una tregenda d’uomini che non sa di Clizia, non sa del suo incenso, della Cultura che ella incarna, si sta preparando a combattere sul campo. La scacchiera è quella della Storia, dove si muovono come pedine questi uomini ignari.

La donna, di fronte alla barbarie e alla violenza degli eserciti, può poco, infatti il lampo del suo sguardo risulta inattivo se ignorato e incapace di far perno sulle coscienze degli uomini. Servono altre forze, forse non migliori ma sicuramente più adatte, per fermare questa tragedia. Clizia non basta, la cultura non basta. La donna, col suo corrispettivo metaforico, resta isolata ed in costante pericolo, sotto la minaccia della distruzione fascista.

Infine c’è una risposta positiva ai dubbi passati sul ruolo della cultura. Batte il suo fioco / tocco la Martinella e le pedine atterrite, vengono come immobilizzate sotto una luce / spettrale di nevaio. E’ quella stessa ignoranza a portarli alla sconfitta, alla morte. Mentre chi, con Clizia, ha opposto gli occhi d’acciaio della cultura allo specchio ustorio della brutalità e dell’insensatezza della guerra, è riuscito a sopravvivere e a resistere non solo fisicamente ma soprattutto intellettualmente.

Oltre al già citato ruolo che barbarie e cultura hanno in uno scenario di guerra, appare opportuno far luce sul corrispettivo privato e personale della vicenda. Clizia è il senhal di Irma Brandeis,
una dantista americana di origine ebraiche, la quale aveva intrattenuto rapporti culturali e privati con Montale, in seguito ad una collaborazione lavorativa presso il Gabinetto Vieusseux del quale il poeta era il direttore.
Con la promulgazione delle leggi antisemite e i preparativi per la guerra a fianco della Germania nazista, Irma era stata costretta a lasciare Firenze e l’Italia. Non è casuale, dunque, la presenza di Clizia come corrispettivo della Cultura messa in grave pericolo dalla minaccia del conflitto.



Ho sceso, dandoti il braccio
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.
(da Xenia, 1966,inserito poi in Satura, 1971)


Luca Zingaretti interpreta Ho sceso, dandoti il braccio





INTERVISTA A MONTALE: "La poesia? Cogliere la palla al balzo!"



Enzo Biagi intervista Eugenio Montale





LA VOCAZIONE NARRATIVA DI GIORGIO CAPRONI (Livorno, 1912 - Roma 1990)
L'opera di Caproni
http://www.etica-letteratura.it/System/Documenti/Caproni%201.pdf

Lamenti
   III
Io come sono solo sulla terra
coi miei errori, i miei figli, l’infinito
caos dei nomi ormai vacui e la guerra
penetrata nell’ossa!… Tu che hai udito
un tempo il mio tranquillo passo nella
sera degli Archi a Livorno, a che invito
cedi – perché tu o padre mio la terra
abbandoni appoggiando allo sfinito
mio cuore l’occhio bianco?… Ah padre, padre
quale sabbia coperse quelle strade
in cui insieme fidammo! Ove la mano
tua s’allentò, per l’eterno ora cade
come un sasso tuo figlio – ora è un umano
piombo che il petto non sostiene più.
(dalla sezione I lamenti, in Il passaggio di Enea, 1956)

Riflessioni: la raccolta Il passaggio di Enea
https://www.cogitoetvolo.it/il-passaggio-di-enea/


Anch'io
     Ho provato anch’io.
È stata tutta una guerra
d’unghie. Ma ora so. Nessuno
potrà mai perforare
il muro della terra.
(da Il muro della terra 1976)

Concessione,
Buttate pure via
ogni opera in versi o in prosa.
Nessuno è mai riuscito a dire
cos’è, nella sua essenza, una rosa.
(da Res Amissa, 1992)

Caproni e l'ideale della concisione espressiva 






EDOARDO SANGUINETI (Genova, 1930 - 2010) E I POETI "NOVISSIMI"

Questo è il gatto con gli stivali, questa è la pace di Barcellona
fra Carlo V e Clemente VII, è la locomotiva, è il pesco
fiorito, è il cavalluccio marino: ma se volti pagina, Alessandro,
ci vedi il denaro:
questi sono i satelliti di Giove, questa è l’autostrada
del Sole, è la lavagna quadrettata, è il primo volume dei Poetae
Latini Aevi Carolini, sono le scarpe, sono le bugie, è la scuola di Atene, è il burro,
è una cartolina che mi è arrivata oggi dalla Finlandia, è il muscolo massetere,
è il parto: ma se volti foglio, Alessandro, ci vedi
il denaro:
e questo è il denaro,
e questi sono i generali con le loro mitragliatrici, e sono i cimiteri
con le loro tombe, e sono le casse di risparmio con le loro cassette
di sicurezza, e sono i libri di storia con le loro storie:
ma se volti il foglio, Alessandro, non ci vedi niente.
(dalla raccolta Triperuno, dalla sezione Purgatorio de l’Inferno,1964)
http://www.edu.lascuola.it/edizioni-digitali/Convivio/VB/letture/gatto.pdf


Il Gruppo 63
Movimento letterario italiano legato alla neoavanguardia costituitosi a Palermo nel 1963 e attivo sino alla fine del decennio, che all’esperienza neorealista ormai in declino oppose lo sperimentalismo linguistico più estremo, al fine di elaborare una letteratura capace di dialogare con la nuova realtà sociale del boom economico. Ne fecero parte, tra gli altri, E. Sanguineti, N. Balestrini, A. Arbasino, U. Eco, G. Manganelli.
Il Gruppo svolse per alcuni anni un efficace lavoro di organizzazione culturale, ma la diversità di posizioni presente al suo interno fin dall’inizio si approfondì fino a provocare lo scioglimento del Gruppo, quando sulle pagine della rivista Quindici (1967-69), nel clima caratterizzato dalle lotte operaie e dalla contestazione studentesca del 1968, vennero a scontrarsi le ragioni di un impegno sia pure radicale, ma circoscritto allo specifico letterario, e quelle di un impegno più esplicitamente rivoluzionario anche sul versante politico.
La neoavanguardia, che ebbe la sua espressione più significativa nell’attività del Gruppo 63, fu nel campo letterario il riflesso più vistoso del generale impulso alla modernizzazione che investì la cultura italiana nella seconda metà degli anni 1950. Tale impulso, favorendo l’incontro con nuove discipline e indirizzi di pensiero (sociologia, antropologia, linguistica, psicanalisi, fenomenologia), si tradusse in un consistente aggiornamento scientifico nel lavoro dei critici, cui corrispose, da parte di molti scrittori, il rifiuto della letteratura allora in auge (e in particolare di autori come G. Bassani, C. Cassola, G. Tomasi di Lampedusa, ma anche A. Moravia e P.P. Pasolini), accusata di tradizionalismo provinciale, concessioni all’intrattenimento e disimpegno intellettuale. In positivo la neoavanguardia recuperò l’audacia sperimentale delle avanguardie storiche, innanzitutto del futurismo, si batté per la definitiva consacrazione di C.E. Gadda, assunto a paradigma del nuovo, e predicò nel contempo una programmatica rinuncia alla comunicazione e uno sconvolgimento dell’ordine linguistico, con cui gli scrittori avrebbero dovuto non soltanto negarsi al consumo promosso dall’industria culturale, ma altresì smascherare la falsità dei modelli di comunicazione imposti dallo sviluppo neocapitalistico.

Più che in opere creative (tra cui le più compiute restano forse i romanzi Fratelli d’Italia, 1963, di A. Arbasino, ripreso dall’autore in successive stesure nel 1976 e nel 1993, e Capriccio italiano, 1963, di E. Sanguineti), la neoavanguardia. ha trovato espressione in una fervida attività saggistica (Opera aperta, 1962, di U. Eco; La letteratura come menzogna, 1967, di G. Manganelli), che sarebbe continuata in diverse forme nell’attività di ciascun autore (giornalismo, editoria, università), esercitando una durevole influenza sulla letteratura degli anni successivi.
http://www.verbapicta.it/dati/gruppi/gruppo-63
http://www.treccani.it/enciclopedia/neoavanguardia/

La poetica di Sanguineti
https://www.laletteraturaenoi.it/index.php/interpretazione-e-noi/423-laborintus,-sessant%E2%80%99anni-dopo-sanguineti,-l%E2%80%99avanguardia-e-il-modernismo.html
http://www.bellami.it/soci-e-autori/raffaella-cavaletto/il-laborintus-poetico/
http://www.edatlas.it/documents/4cee5b08-ca63-4e4b-8397-14c1a31c9b7b

venerdì 16 marzo 2018

INTELLETTUALI E FASCISMO

Benedetto Croce, Manifesto degli intellettuali antifascisti
Gl'intellettuali fascisti, riuniti in congresso a Bologna, hanno indirizzato un manifesto agl'intellettuali di tutte le nazioni per spiegare e difendere innanzi ad essi la politica del partito fascista (...).
Per questa caotica e inafferrabile "religione" noi non ci sentiamo, dunque, di abbandonare la nostra vecchia fede: la fede che da due secoli e mezzo è stata l' anima dell' Italia che risorgeva, dell' Italia moderna; quella fede che si compose di amore alla verità, di aspirazione alla giustizia, di generoso senso umano e civile, di zelo per l' educazione intellettuale e morale, di sollecitudine per la libertà, forza e garanzia di ogni avanzamento. Noi rivolgiamo gli occhi alle immagini degli uomini del Risorgimento, di coloro che per l' Italia patirono e morirono, e ci sembra di vederli offesi e turbati in volto
alle parole che si pronunziano e agli atti che si compiono dai nostri italiani avversari, e gravi e ammonitori a noi perché teniamo salda in pugno la loro bandiera. La nostra fede non è un' escogitazione artificiosa e astratta o un invasamento di cervello, cagionato da mal certe o mal comprese teorie; ma è
il possesso di una tradizione, diventata disposizione del sentimento, conformazione mentale e morale.  
http://www.ousia.it/SitoOusia/SitoOusia/TestiDiFilosofia/TestiPDF/Croce/Manifesto.pdf


Antonio Gramsci e il "nuovo intellettuale"
Il modo di essere del nuovo intellettuale non può più consistere nell’eloquenza, motrice esteriore e momentanea degli affetti e delle passioni, ma nel mescolarsi attivamente alla vita pratica, come costruttore, organizzatore, “persuasore permanentemente” perché non puro oratore – e tuttavia superiore allo spirito astratto atematico; dalla tecnica-lavoro giunge alla tecnica-scienza e alla concezione umanistica storica, senza la quale si rimane “specialista” e non si diventa “dirigente” (specialista + politico).
http://www.doppiozero.com/materiali/antonio-gramsci-i-veri-intellettuali

Gramsci: Odio gli indifferenti.
http://www.spartaco.eu/2016/12/odio-gli-indifferenti-il-testo-integrale-di-antonio-gramsci/


Piero Gobetti e l'Illuminismo come difesa della libertà e della democrazia

Non vorremmo ripetere in nessun modo certi atteggiamenti incendiari, avveniristi e ribelli che indicarono per l’appunto coscienze deboli, destinate a servire. Avendo assistito alla triste sorte delle speranze sproporzionate, delle fiduciose baldanze, delle febbri di attivismo il nostro proposito è di conservarci molto parchi in fatto di crisi di coscienza e di formule di salvazione; nè di lasciarci sorprendere ad escogitare nuove teorie dove basterà la sapienza quotidiana. Abbiamo deciso di mettere tutte le nostre forze per salvare la dignità prima che la genialità, per ristabilire un tono decoroso e consolidare una sicurezza di valori e di convinzioni; fissare degli ostacoli agli improvvisatori, costruire delle difese per la nostra letteratura rimasta troppo tempo preda apparecchiata ai più immodesti e agili conquistatori.
https://it.wikisource.org/wiki/Pagina:AA.VV._-_Il_Baretti,_n.1,_Torino,_1924.djvu/1


La rivista "Solaria"
https://it.wikipedia.org/wiki/Solaria





martedì 13 marzo 2018

GIUSEPPE UNGARETTI, L'ERMETISMO E QUASIMODO

IL PORTO SEPOLTO
Vi arriva il poeta
e poi torna alla luce con i suoi canti
e li disperde

Di questa poesia
mi resta
quel nulla
d’inesauribile segreto
(G. UNGARETTI, da L'allegria)

Analisi
La forma e lo stile. Il porto sepolto è la seconda poesia della raccolta a cui dà il titolo. Conta sette versi di misura variabile e prevalentemente breve (due sono trisillabi), distribuiti in due strofe. La frammentarietà e la brevità del testo sono emblematiche di tutta la prima produzione ungarettiana. Come in tutti i componimenti della raccolta il titolo vale come verso zero, cioè offre informazioni fondamentali alla comprensione del testo, di cui è parte integrante: infatti il Vi del primo verso rimanda evidentemente al porto sepolto del titolo, senza il quale non sapremmo a cosa il poeta si riferisca. In calce al testo compaiono i riferimenti al luogo e alla data di composizione.

I temi.
La poesia è tra le più importanti della raccolta perché enuncia la poetica dell’autore. Il poeta trae spunto da un antico porto di Alessandria d’Egitto, inabissatosi per via di movimenti bradisismici, ma ne fa un motivo simbolico: infatti, immergendosi nel porto sepolto allude alle profondità dell’animo umano, a quel che resta dell’origine perduta, inabissatasi e diventata inesplorabile. Grazie alla poesia, il poeta è in grado di intuire e riportare alla luce tracce di quell’origine (quel nulla / d’inesauribile segreto) e, di conseguenza, diffonderle agli uomini. L’inabissamento e il successivo affioramento del poeta con i suoi canti rimandano inoltre al mito di Orfeo – figura che nella mitologia greca simboleggia la poesia – il quale discese agli inferi per riportare in vita la sua Euridice: allo stesso modo il poeta scende nelle oscurità del mistero poetico per cercare la scintilla dell’ispirazione, in modo da riportare alla luce i suoi canti, immagine che allude chiaramente allo scrivere versi. Tuttavia i canti (le poesie) non sono in grado di restituire per intero il segreto della creazione (poetica e non): una volta portati alla luce il poeta li disperde, cioè qualcosa del messaggio originario va inesorabilmente perso e il poeta non può far altro che scrivere in modo frammentario e per brevi illuminazioni. È interessante notare come l’effetto della dispersione sia reso da Ungaretti con la coppia di dimostrativi questa/quel: la poesia (questa) come elemento tangibile e vicino al poeta conserva quel nulla, che allude a qualcosa di distante e lontano. È evidente in questa scelta la lezione del Leopardi dell’Infinito, in cui la fitta alternanza dei dimostrativi questo/quello indica allo stesso modo vicinanza/lontananza, finito/infinito.

UNGARETTI RACCONTATO DA ANDREA CORTELLESSA
http://www.letteratura.rai.it/articoli-programma-puntate/ungaretti-raccontato-da-andrea-cortellessa/25835/default.aspx

UNGARETTI E LA POESIA





La poesia è è poesia quando porta in sé un segreto





LA GUERRA

SAN MARTINO DEL CARSO
Valloncello dell'Albero isolato il 27 agosto 1916
Di queste case
Non è rimasto 
Che qualche
Brandello di muro

Di tanti
Che mi corrispondevano
Non è rimasto
Neppure tanto

Ma nel cuore
Nessuna croce manca

E’ il mio cuore
Il paese più straziato
(G. Ungaretti, da L'allegria)










SOLDATI


Bosco di Courton luglio 1918
Si sta come
d'autunno
sugli alberi le foglie
(G. Ungaretti, da L'allegria)




LA POETICA DELL'ATTIMO

MATTINA
Santa Maria la Longa il 26 gennaio 1917
M'illumino
d'immenso
(G. Ungaretti, da L'allegria)




LA POESIA DELLA MEMORIA

I FIUMI
Cotici il 16 agosto 1916

Mi tengo a quest’albero mutilato
Abbandonato in questa dolina
Che ha il languore
Di un circo
Prima o dopo lo spettacolo
E guardo
Il passaggio quieto
Delle nuvole sulla luna
Stamani mi sono disteso
In un’urna d’acqua
E come una reliquia
Ho riposato
L’Isonzo scorrendo
Mi levigava
Come un suo sasso
Ho tirato su
Le mie quattro ossa
E me ne sono andato
Come un acrobata
Sull’acqua
Mi sono accoccolato
Vicino ai miei panni
Sudici di guerra
E come un beduino
Mi sono chinato a ricevere
Il sole
Questo è l’Isonzo
E qui meglio
Mi sono riconosciuto
Una docile fibra
Dell’universo
Il mio supplizio
È quando
Non mi credo
In armonia
Ma quelle occulte
Mani
Che m’intridono
Mi regalano
La rara
Felicità
Ho ripassato
Le epoche
Della mia vita
Questi sono
I miei fiumi
Questo è il Serchio
Al quale hanno attinto
Duemil’anni forse
Di gente mia campagnola
E mio padre e mia madre.
Questo è il Nilo
Che mi ha visto
Nascere e crescere
E ardere d’inconsapevolezza
Nelle distese pianure
Questa è la Senna
E in quel suo torbido
Mi sono rimescolato
E mi sono conosciuto
Questi sono i miei fiumi
Contati nell’Isonzo
Questa è la mia nostalgia
Che in ognuno
Mi traspare
Ora ch’è notte
Che la mia vita mi pare
Una corolla
Di tenebre.
 (G. Ungaretti, da Allegria di naufragi (1919), poi in L’Allegria (1931).


UNGARETTI E IL"RITORNO ALL'ORDINE"
Composta nel 1925, L’isola entra a far parte del Sentimento del Tempo (1933), libro che segna una fondamentale svolta nella carriera poetica di Giuseppe Ungaretti. Il poeta abbandona lo stile franto ed essenziale dell’Allegria e approda a una sorta di classicismo oscuro e barocco, che farà scuola presso i poeti ermetici. L’isola è quasi un manifesto della nuova maniera. L’atmosfera della poesia è fin da subito misteriosa e rarefatta: lo spazio in cui si muove un protagonista senza nome, in terza persona, è irrealistico e indefinito. Il tempo verbale dominante è il passato remoto, attraverso cui il poeta crea un’effetto di sospensione mitica.

L'ISOLA
A una proda ove sera era perenne
di anziane selve assorte, scese,
e s'inoltrò
e lo richiamò rumore di penne
ch'erasi sciolto dallo stridulo
batticuore dell'acqua torrida,
e una larva (languiva
e rifioriva) vide;
ritornato a salire vide
ch'era una ninfa e dormiva
ritta abbracciata a un olmo.
In sé da simulacro a fiamma vera
errando, giunse a un prato ove
l'ombra negli occhi s'addensava
delle vergini come
sera appiè degli ulivi;
distillavano i rami
una pioggia pigra di dardi,
qua pecore s'erano appisolate
sotto il liscio tepore,
altre brucavano
la coltre luminosa;
le mani del pastore erano un vetro
levigato da fioca febbre.
(G. Ungaretti, L'isola, da Sentimento del tempo,1933)


NASCITA DELL'ERMETISMO
1) http://www.treccani.it/enciclopedia/ermetismo/

2) http://laspada.altervista.org/wp-content/uploads/2016/03/014_Gli_anni_del_regime_fascista_-L_ERMETISMO-1.doc

CARLO BO E LA LETTERATURA COME VITA
http://www.edatlas.it/documents/44645a4d-c1d0-4a05-901b-c8a97ee02a0c



SALVATORE QUASIMODO

Ed è subito sera è una poesia di Salvatore Quasimodo. Si tratta di uno tra i componimenti più brevi e più famosi del poeta siciliano e più in generale della corrente ermetica. Originariamente gli intensi versi liberi di questa breve poesia costituivano la terzina finale di una poesia più lunga intitolata Solitudini contenuta in Acque e terre, la prima raccolta di poesie dell'autore pubblicata nel 1930, comprendente le liriche scritte dal poeta dal 1920 al 1929 (alcune delle quali erano già apparse sulla rivista Solaria).Tagliando i diciannove versi iniziali di Solitudini, Quasimodo ne estrasse successivamente i tre versi di Ed è subito sera, che è la poesia di apertura della raccolta omonima (pubblicata nel 1942).

Ed è subito sera
Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.
(S. Quasimodo, dalla raccolta Ed è subito sera, 1942)
Analisihttps://library.weschool.com/lezione/ed-e-subito-sera-salvatore-quasimodo-ermetismo-commento-parafrasi-11323.html

Ride la gazza, nera sugli aranci
Forse è un segno vero della vita:
intorno a me fanciulli con leggeri
moti del capo danzano in un gioco
di cadenze e di voci lungo il prato
della chiesa. Pietà della sera, ombre
riaccese sopra l’erba così verde,
bellissime nel fuoco della luna!
Memoria vi concede breve sonno;
ora, destatevi. Ecco, scroscia il pozzo
per la prima marea. Questa è l’ora:
non più mia, arsi, remoti simulacri.
E tu vento del sud forte di zàgare,
spingi la luna dove nudi dormono
fanciulli, forza il puledro sui campi
umidi d’orme di cavalle, apri
il mare, alza le nuvole dagli alberi:
già l’airone s’avanza verso l’acqua
e fiuta lento il fango tra le spine,
ride la gazza, nera sugli aranci.
(S. Quasimodo, dalla raccolta Ed è subito sera, 1942)


Quasimodo "postermetico"
1) "La posizione del poeta non può essere passiva nella società: egli "modifica" il mondo. Le sue immagini forti, quelle create, battono sul cuore dell'uomo più della filosofia e della storia. La poesia si trasforma in etica, proprio per la sua resa di bellezza: la sua responsabilità è in diretto rapporto con la sua perfezione... un poeta è tale quando non rinuncia alla sua presenza in una data terra, in un tempo esatto, definito politicamente".
(Discorso sulla poesia, stampato in appendice alla raccolta Il falso e il vero verde, 1956)

2) "Rifare l’uomo: questo è il problema capitale. Per quelli che credono alla poesia come a un gioco letterario, che considerano ancora il poeta un estraneo alla vita, uno che sale di notte le scalette della sua torre per speculare il cosmo, diciamo che il tempo delle ‘speculazioni’ è finito. Rifare l’uomo, questo è l’impegno."
(Poesia contemporanea, 1946 poi in Poesie e discorsi sulla poesia, 1971) 

Alle fronde dei salici
E come potevano noi cantare
Con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.
(da Giorno dopo giorno, 1947)

Analisi stilistica
Salvatore Quasimodo in questa poesia raggiunge elevati effetti espressivi anche tramite il ricorso a particolari figure retoriche.

Metonimia (il concreto per l’astratto) (v. 2) → con il piede straniero sopra il cuore: il poeta rappresenta la violenza e la crudeltà dell’oppressione nazista che calpesta anche i sentimenti (cuore) degli Italiani.
Analogia (vv. 4 e 5) → lamento d’agnello dei fanciulli: il dolore mesto e soffocato degli orfani simile a quello degli agnelli (con implicito riferimento religioso al sacrificio cristiano).
Sinestesia (vv. 5 e 6) → urlo nero della madre: il poeta accosta un elemento uditivo (urlo) a uno visivo (nero), comunicando così il dramma infinito di quella madre che corre incontro al figlio crocifisso.
Analogia (vv. 6 e 7) → figlio crocifisso sul palo del telegrafo: il poeta collega idealmente lo strazio dei cadaveri degli uccisi al sacrificio estremo di Cristo sulla croce.
Metonimia (v.9): anche le nostra cetre erano appese: la cetra rappresenta la poesia (concreto per astratto).

L’immagine-simbolo dei salici, che nel loro oscillare, rappresentano il dolore e il pianto.

Riferimenti biblici in Alle fronde dei salici ANTICO TESTAMENTO - Salmo CXXXVI
Sui fiumi di Babilonia, là sedevamo piangendo al ricordo di Sion.
Ai salici di quella terra appendemmo le nostre cetre.
Là ci chiedevano parole di canto coloro che ci avevano deportato, canzoni di gioia, i nostri oppressori: «Cantateci i canti di Sion!».

Come cantare i canti del Signore in terra straniera?
Se ti dimentico, Gerusalemme, si paralizzi la mia destra; mi si attacchi la lingua al palato, se lascio cadere il tuo ricordo, se non metto Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia.

Ricordati, Signore, dei figli di Edom, che nel giorno di Gerusalemme, dicevano: «Distruggete, distruggete anche le sue fondamenta».
Figlia di Babilonia devastatrice, beato chi ti renderà quanto ci hai fatto. Beato chi afferrerà i tuoi piccoli e li sbatterà contro la pietra.


Uomo del mio tempo
http://www.edatlas.it/documents/33ebd069-1c34-4525-b448-b16f2a05c019