La scuola di Atene

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martedì 27 ottobre 2015

CATILINA

I RITRATTI DI CATILINA

Testo latino

L. Catilina, nobili genere natus, fuit magna vi et animi et corporis, sed ingenio malo pravoque. 2. Huic ab adulescentia bella intestina, caedes, rapinae, discordia civilis grata fuere ibique iuventutem suam exercuit. 3. Corpus patiens inediae, algoris, vigiliae supra quam cuiquam credibile est. 4. Animus audax, subdolus, varius, cuius rei lubet simulator ac dissimulator, alieni adpetens, sui profusus, ardens in cupiditatibus; satis eloquentiae, sapientiae parum. 5. Vastus animus inmoderata, incredibilia, nimis alta semper cupiebat. 6. Hunc post dominationem L. Sullae lubido maxuma invaserat rei publicae capiundae; neque id quibus modis adsequeretur, dum sibi regnum pararet, quicquam pensi habebat. 7. Agitabatur magis magisque in dies animus ferox inopia rei familiaris et conscientia scelerum, quae utraque iis artibus auxerat, quas supra memoravi. 8. Incitabant praeterea corrupti civitatis mores, quos pessuma ac divorsa inter se mala, luxuria atque avaritia, vexabant.
(Sallustio, De coniuratione Catilinae, V)


Traduzione di Luca Canali


1. Catilina, nato di nobile stirpe, fu di grande vigore d'animo
e di membra, ma d'ingegno malvagio e vizioso. 2. Fin dalla prima giovinezza gli piacquero guerre intestine, stragi, rapine, discordie civili, e in esse spese tutta la sua gioventù. 3. Il corpo resistente alla fame, al gelo, alle veglie oltre ogni immaginazione. 4. Animo temerario, subdolo, mutevole, simulatore e dissimulatore di qualsivoglia cosa, avido dell'altrui, prodigo del suo, ardente nelle cupidigie, facile di parola, niente di saggezza. 5. Spirito vasto, anelava sempre alle cose smisurate, al fantastico, all'immenso. 6. Dopo la dominazione di L. Silla, era stato invaso da una sfrenata cupidigia d'impadronirsi del potere, senza farsi scrupolo della scelta dei mezzi pur di procurarsi il regno. 7. Sempre di più, di giorno in giorno quell'animo fiero era agitato dalla povertà e dal rimorso dei delitti, entrambi accresciuti dai vizi sopra ricordati. 8. Lo incitavano, inoltre, i costumi d'una cittadinanza corrotta, tormentata da due mali funesti e fra loro discordi, il lusso e l'avidità.


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Particolare dell'affresco di Cesare Maccari, 1880

Iam primum adulescens Catilina multa nefanda stupra fecerat, cum virgine nobili, cum sacerdote Vestae, alia huiusce modi contra ius fasque. Postremo captus amore Aureliae Orestillae, cuius praeter formam nihil umquam bonus laudavit, quod ea nubere illi dubitabat timens privignum adulta aetate, pro certo creditur, necato filio, vacuam domum scelestis nuptiis fecisse. Quae quidem res mihi in primis videtur causa fuisse facinus maturandi. Namque animus impurus, dis hominibusque infestus, neque vigiliis neque quietibus sedari poterat: ita conscientia mentem excitam vastabat. Igitur colos ei exanguis, foedi oculi, citus modo, modo tardus incessus: prorsus in facie vultuque vecordia inerat.


(Sallustio, De Catilinae coniuratione, XV)

SALLUSTIO E I RITRATTI "PARADOSSALI"
Nel tipo catilinario l'energia, l'industria, le grandi e anche eccezionali capacità (magna vis et animi et corporis), la resistenza alle privazioni e alle fatiche, il coraggio non sono mai messi al servizio di valori positivi (...) ma sono sempre utilizzati da una volontà perversa a scopi criminali.
Sempronia, donna di audacia virilis, ha cultura, grazia; ma anche in questo caso Sallustio sottolinea la violazione del decus e della pudicitia. E, naturalmente, non è pensabile che Sempronia metta la sua virilis audacia al servizio della comunità.
Ciò che resta in comune tra i due tipi paradossali è l'energia notevole o eccezionale, magna vis  et corporis et animi.
Nel ritratto sallustiano la "paradossalità" deriva non tanto dalla caduta delle qualità positive, ma piuttosto dalla rottura del legame di queste ultime, (dell'energia, del coraggio, della tenacia, della cultura) con la pietas, con il rispetto dei valori della famiglia e dello stato, con i valori del mos maiorum.
(Cfr. Antonio La Penna, Il ritratto paradossale da Silla a Petronio, in Aspetti del pensiero storico latino, Einaudi, Torino, 1978)


LA FINE DELLA CONGIURA: Cicerone, Catilinarie, IV,7,14-15 - 8, 16
Quel che dovete temere, a mio giudizio, è che le vostre disposizioni appaiano troppo blande in presenza di un crimine così immane e mostruoso! Ma molto di più dobbiamo temere di apparire crudeli verso la patria se saremo miti nella condanna, piuttosto che duri verso i nostri peggiori nemici se saremo inflessibili!

VII 14 Tuttavia, padri coscritti, non posso nascondere quanto sento dire. Ci sono in giro voci che arrivano sino a me: a quanto pare, alcuni temono che io non disponga di mezzi sufficienti per eseguire quanto voi deciderete oggi.
Ogni cosa è stata prevista, disposta, sistemata, padri coscritti, non solo con tutto l'impegno e lo zelo di cui sono capace, ma
soprattutto grazie al desiderio del popolo romano di difendere la sua sovranità e di conservare i beni comuni. Tutti sono venuti qui, uomini di ogni classe, condizione, età! Pieno è il Foro, pieni i templi intorno al Foro, piena ogni strada che porta a questo tempio.
Dai tempi della fondazione di Roma, è questa l'unica circostanza in cui tutti nutrono gli stessi intendimenti, a eccezione di chi, accorgendosi di essere a un passo dalla fine, ha deciso di morire insieme a tutti gli altri piuttosto che da
solo.
15 Questi individui ben volentieri li metto a parte, li separo; per me, non vanno annoverati tra i cittadini colpevoli, ma tra i peggiori nemici!
Ma gli altri, o dèi immortali!, con che affluenza, con che impeto, con che coraggio sono uniti in nome della salvezza e del prestigio comune!
Dovrei ricordare i cavalieri? Se cedono a voi senatori il primato del grado e dell'autorità, non vi sono certo inferiori per devozione allo Stato! Dopo un dissenso durato molti anni hanno ritrovato l'unione e la concordia con voi: la giornata di oggi e la causa presente li rendono vostri alleati! Se riusciremo a conservare per sempre l'unione politica che si è rafforzata sotto il mio consolato, vi assicuro che in futuro nessuna crisi politica colpirà lo Stato in nessuna delle sue parti.
Con lo stesso impeto vedo che sono accorsi per difendere lo Stato i tribuni dell'erario, uomini di straordinario valore.
In modo analogo tutti gli scribi, che oggi si trovavano per caso nell'erario, hanno tralasciato le operazioni di sorteggio per votarsi alla salvezza comune.
16 Sono presenti in massa tutti i liberi, anche i più umili. C'è qualcuno a cui questi templi, il volto della città, il possesso della libertà e infine questa stessa luce e il suolo comune della patria non ispirino piacere, ma soprattutto un sentimento di dolcezza e di gioia?
VIII È importante conoscere, padri coscritti, la devozione dei liberti i quali, guadagnandosi un posto nella nostra comunità con il loro valore, considerano questa la loro vera patria, una patria che chi è nato qui e nelle famiglie più altolocate non ha considerato tale, ma alla stregua di una città nemica. Ma perché menziono queste classi e questi uomini che le proprietà, l'interesse comune e infine il bene più dolce che c'è, la libertà, hanno spinto qui a difendere la vita della patria?
Non c'è schiavo, purché viva in condizioni tollerabili, che non inorridisca di fronte alla pazzia dei nostri concittadini, che non aspiri al mantenimento della situazione attuale, che non contribuisca alla salvezza comune, per quanto osi, per quanto possa. 


TESTI A CONFRONTO: Sallustio e Pavese

a) SALLUSTIO, DE CATILINAE CONIURATIONE, 61
Il campo dopo la battaglia
Sed confecto proelio tum vero cerneres, quanta audacia quantaque animi vis fuisset in exercitu Catilinae. Nam fere quem quisque vivus pugnando locum ceperat, eum amissa anima corpore tegebat. Pauci autem, quos medios cohors praetoria disiecerat, paulo divorsius, sed omnes tamen advorsis volneribus conciderant. Catilina vero longe a suis inter hostium cadavera repertus est paululum etiam spirans ferociamque animi, quam habuerat vivus, in voltu retinens. Postremo ex omni copia neque in proelio neque in fuga quisquam civis ingenuus captus est: ita cuncti suae hostiumque vitae iuxta pepercerant. Neque tamen exercitus populi Romani laetam aut incruentam victoriam adeptus erat; nam strenuissumus quisque aut occiderat in proelio aut graviter volneratus discesserat. Multi autem, qui e castris visundi aut spoliandi gratia processerant, volventes hostilia cadavera amicum alii, pars hospitem aut cognatum reperiebant; fuere item, qui inimicos suos cognoscerent. Ita varie per omnem exercitum laetitia, maeror, luctus atque gaudia agitabantur.

b) C. PAVESE, La casa in collina, 1948

Ho visto i morti sconosciuti, i morti repubblichini. Sono questi che mi hanno svegliato. Se un ignoto, un nemico, diventa morendo una cosa simile, se ci si arresta e si ha paura a scavalcarlo, vuol dire che anche vinto il nemico è qualcuno, che dopo avesse sparso il sangue bisogna placarlo, dare una voce a questo sangue, giustificare chi l'ha sparso. Guardare certi morti è umiliante. Non sono più faccenda altrui; non ci si sente capitati sul posto per caso. Si ha l'impressione che lo stesso destino che ha messo a terra quei corpi, tenga noialtri inchiodati a vedere, a riempircene gli occhi. Non è paura, non è la solita viltà. Ci si sente umiliati perché si capisce - si tocca con gli occhi - che al posto dei morto potremmo essere noi: non ci sarebbe differenza, e se viviamo lo dobbiamo al cadavere imbrattato. Per questo ogni guerra è una guerra civile: ogni caduto somiglia a chi resta, e gliene chiede ragione.


Io non credo che possa finire. Ora che ho visto cos'è guerra, cos'è guerra civile, so che tutti, se un giorno finisse, dovrebbero chiedersi: - E dei caduti che facciamo? perché sono morti? - Io non saprei cosa rispondere. Non adesso, almeno. Né mi pare che gli altri lo sappiano. Forse lo sanno unicamente i morti, e soltanto per loro la guerra è finita davvero.



I MALI DI ROMA - BELLUM IUGHTHINUM 41

Ceterum mos partium et factionum ac deinde omnium malarum artium paucis ante annis Romae ortus est otio atque abundantia earum rerum, quae prima mortales ducunt. Nam ante Carthaginem deletam populus et senatus Romanus placide modesteque inter se rem publicam tractabant, neque gloriae neque dominationis certamen inter civis erat: metus hostilis in bonis artibus civitatem retinebat. Sed ubi illa formido mentibus decessit, scilicet ea, quae res secundae amant, lascivia atque superbia incessere. Ita quod in aduersis rebus optauerant otium, postquam adepti sunt, asperius acerbiusque fuit. Namque coepere nobilitas dignitatem, populus libertatem in libidinem vertere, sibi quisque ducere trahere rapere. Ita omnia in duas partis abstracta sunt, res publica, quae media fuerat, dilacerata. Ceterum nobilitas factione magis pollebat, plebis vis soluta atque dispersa in multitudine minus poterat. Paucorum arbitrio belli domique agitabatur; penes eosdem aerarium prouinciae magistratus gloriae triumphique erant; populus militia atque inopia urgebatur; praedas bellicas imperatores cum paucis diripiebant: interea parentes aut parui liberi militum, uti quisque potentiori confinis erat, sedibus pellebantur. Ita cum potentia auaritia sine modo modestiaque invadere, polluere et vastare omnia, nihil pensi neque sancti habere, quoad semet ipsa praecipitauit. Nam ubi primum ex nobilitate reperti sunt, qui veram gloriam iniustae potentiae anteponerent, moveri civitas et dissensio civilis quasi permixtio terrae oriri coepit.

IL RITRATTO DI GIUGURTA, BELLUM IUGURTHINUM, 6
[6.1] Qui ubi primum adolevit, pollens viribus, decora facie, sed multo maxume ingenio validus, non se luxu neque inertiae corrumpendum dedit, sed, uti mos gentis illius est, equitare, iaculari; cursu cum aequalibus certare et, quom omnis gloria anteiret, omnibus tamen carus esse; ad hoc pleraque tempora in venando agere, leonem atque alias feras primus aut in primis ferire: plurumum facere, minumum ipse de se loqui. [2] Quibus rebus Micipsa tametsi initio laetus fuerat, existumans virtutem Iugurthae regno suo gloriae fore, tamen postquam hominem adulescentem exacta sua aetate et parvis liberis magis magisque crescere intellegit, vehementer eo negotio permotus multa cum animo suo volvebat. [3] Terrebat eum natura mortalium avida imperi et praeceps ad explendam animi cupidinem, praeterea opportunitas suae liberorumque aetatis, quae etiam mediocris viros spe praedae transvorsos agit, ad hoc studia Numidarum in Iugurtham accensa, ex quibus, si talem virum dolis interfecisset, ne qua seditio aut bellum oriretur, anxius erat.

Traduzione

[6.1] Costui, non appena fu ragazzo - e prestante di forza fisica, di bell’aspetto, ma soprattutto ben fornito d’intelligenza -,  non si fece indebolire dal lusso e dalla pigrizia, ma, com’è abitudine di quel popolo, andava a cavallo e si esercitava nel lancio del giavellotto; gareggiava nella corsa con i coetanei e, nonostante superasse tutti in gloria, era comunque simpatico a tutti; oltre a ciò, trascorreva la maggior parte del tempo nell’andare a caccia e per primo o tra i primi feriva leoni e altre belve: faceva moltissimo, ma parlava di sé pochissimo. [2] E sebbene all’inizio Micipsa fosse stato contento di queste cose, pensando che il valore di Giugurta sarebbe stato di vanto per il suo regno, tuttavia, dopo che capì che il giovane si faceva sempre più uomo mentre la sua vita era ormai passata e i suoi figli erano piccoli, fortemente preoccupato da quella situazione, pensava a molte cose tra sé. [3]  Lo spaventava la natura degli uomini, insaziabile di potere e incline a soddisfare i desideri del proprio animo, poi la condizione dell’età sua e dei figli, che spinge anche gli uomini mediocri fuori dalla retta via con la speranza di un successo, e oltre a questo le simpatie dei Numidi nate nei confronti di Giugurta, dalle quali era in ansia che nascesse una qualche rivolta o una guerra, se avesse ucciso con l’inganno un tale uomo.

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