La scuola di Atene

La scuola di Atene

venerdì 31 marzo 2017

ORAZIO

Il topo di campagna e il topo di città (Satire, II, 6)

"Si dice che una volta un topo di campagna invitò nella sua povera tana un topo

di città, un vecchio ospite (che accoglie) un vecchio amico;

scorbutico e attento ai (cibi) procuratisi,  ma tuttavia (non) al punto di (non) sciogliere

all'ospitalità l'animo taccagno. Che (bisogno c'è di fare) molte parole? Né egli

risparmiò ceci messi in serbo né la lunga avena,

e, portando con la bocca un acino appassito e pezzetti di lardo

mezzi rosicchiati, (glieli) offrì desiderando, con una cena varia, vincere

la schizzinosità di (lui) che toccava a malapena le singole cose con dente sdegnoso;

mentre lo stesso padrone di casa, disteso sulla paglia fresca,

mangiava farro e loglio, lasciando le vivande migliori (all'altro).

 Infine il cittadino dice a costui: "A che ti giova, amico,

vivere di stenti  sulla costa di un bosco scosceso?

Vuoi tu anteporre gli uomini e la città alle aspre selve?

Prendi con me  il cammino, dammi retta; poiché le creature terrestri

vivono avendo ricevuto in sorte anime mortali e non vi è alcuno

 scampo alla morte né per il ricco né per il povero: perciò, amico,

mentre ti è possibile, vivi felice in mezzo a situazioni piacevoli,

vivi memore di quanto (tu) sia di breve durata". Queste parole, appena dette,

scossero il campagnolo (che) balzò  lesto fuori di casa; quindi

entrambi percorrono il cammino prefissato, ansiosi di entrare

 furtivamente di notte nelle mura della città. E già teneva

la notte lo spazio a metà del cielo, quando entrambi pongono

i (loro) passi in un ricco palazzo, dove, su letti d'avorio,

splendeva un drappo tinto di rosso porpora

e c'erano, avanzate da una grande cena, molte portate

del giorno prima che, in disparte, stavano in canestri ben colmi.

Dunque, quando ebbe collocato disteso su un drappo purpureo

il campagnolo, come uno schiavo col grembiule rimboccato, l'ospite corre qua e là

e continua a portare vivande e assolve agli stessi compiti

di un cameriere domestico, assaggiando prima tutto ciò che porta.

Quello, sdraiato, gode della sorte mutata e in quella cuccagna 

fa la parte del commensale lieto, quando all'improvviso un gran

fragore di di porte fece balzare entrambi giù dai letti.

Correvano spaventati per tutta la stanza e, ancor più,

trepidavano senza fiato non appena l'alto palazzo risuonò

(del latrato) di cani molossi. Allora il campagnolo: "Non ho proprio bisogno

di questa vita", disse e "Stammi bene! Il bosco e la mia tana

sicura dai pericoli, mi consoleranno con le umili lenticchie".



Ode I, 11 - CARPE DIEM ("Cogli l'attimo")