Il topo di campagna e il topo di città (Satire, II, 6)
"Si dice che una volta un topo di campagna invitò nella sua povera tana un topo
di città, un vecchio ospite (che accoglie) un vecchio amico;
scorbutico e attento ai (cibi) procuratisi, ma tuttavia (non) al punto di (non) sciogliere
all'ospitalità l'animo taccagno. Che (bisogno c'è di fare) molte parole? Né egli
risparmiò ceci messi in serbo né la lunga avena,
e, portando con la bocca un acino appassito e pezzetti di lardo
mezzi rosicchiati, (glieli) offrì desiderando, con una cena varia, vincere
la schizzinosità di (lui) che toccava a malapena le singole cose con dente sdegnoso;
mentre lo stesso padrone di casa, disteso sulla paglia fresca,
mangiava farro e loglio, lasciando le vivande migliori (all'altro).
Infine il cittadino dice a costui: "A che ti giova, amico,
vivere di stenti sulla costa di un bosco scosceso?
Vuoi tu anteporre gli uomini e la città alle aspre selve?
Prendi con me il cammino, dammi retta; poiché le creature terrestri
vivono avendo ricevuto in sorte anime mortali e non vi è alcuno
scampo alla morte né per il ricco né per il povero: perciò, amico,
mentre ti è possibile, vivi felice in mezzo a situazioni piacevoli,
vivi memore di quanto (tu) sia di breve durata". Queste parole, appena dette,
scossero il campagnolo (che) balzò lesto fuori di casa; quindi
entrambi percorrono il cammino prefissato, ansiosi di entrare
furtivamente di notte nelle mura della città. E già teneva
la notte lo spazio a metà del cielo, quando entrambi pongono
i (loro) passi in un ricco palazzo, dove, su letti d'avorio,
splendeva un drappo tinto di rosso porpora
e c'erano, avanzate da una grande cena, molte portate
del giorno prima che, in disparte, stavano in canestri ben colmi.
Dunque, quando ebbe collocato disteso su un drappo purpureo
il campagnolo, come uno schiavo col grembiule rimboccato, l'ospite corre qua e là
e continua a portare vivande e assolve agli stessi compiti
di un cameriere domestico, assaggiando prima tutto ciò che porta.
Quello, sdraiato, gode della sorte mutata e in quella cuccagna
fa la parte del commensale lieto, quando all'improvviso un gran
fragore di di porte fece balzare entrambi giù dai letti.
Correvano spaventati per tutta la stanza e, ancor più,
trepidavano senza fiato non appena l'alto palazzo risuonò
(del latrato) di cani molossi. Allora il campagnolo: "Non ho proprio bisogno
di questa vita", disse e "Stammi bene! Il bosco e la mia tana
sicura dai pericoli, mi consoleranno con le umili lenticchie".
Ode I, 11 - CARPE DIEM ("Cogli l'attimo")
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