La scuola di Atene

La scuola di Atene

giovedì 26 gennaio 2023

MEMORIA O DIMENTICANZA?

 Elogio della dimenticanza

di Bertolt Brecht


Buona cosa è la dimenticanza!
Altrimenti come farebbe
il figlio ad allontanarsi dalla madre che lo ha allattato?
Che gli ha dato la forza delle membra
e lo trattiene per metterle alla prova?

Oppure come farebbe l’allievo ad abbandonare il maestro
che gli ha dato il sapere?
Quando il sapere è dato
l’allievo deve mettersi in cammino.

Nella casa vecchia
prendono alloggio i nuovi inquilini.
Se vi fossero rimasti quelli che l’hanno costruita
la casa sarebbe troppo piccola.

La stufa riscalda. Il fumista
non si sa più chi sia. L’aratore
non riconosce la forma del pane.

Come si alzerebbe l’uomo al mattino
senza l’oblio della notte che cancella le tracce?
Chi è stato sbattuto a terra sei volte
come potrebbe risollevarsi la settima
per rivoltare il suolo pietroso,
per rischiare il volo nel cielo?

La fragilità della memoria
dà forza agli uomini.


(trad. di Franco Fortini)


Il passato è la nostra radice, è la dimensione della nostra origine. Tuttavia per crescere, per vivere, dobbiamo avere il coraggio di recidere quel filo invisibile che ci lega ad esso e spesso ci blocca. 
Momenti di gioia e di spensieratezza legati a fasi lontane della nostra vita, agli anni dell'infanzia, non possono ancorarci a una realtà irripetibile. L'esistenza procede con il suo carico di vicende nuove, a volte complicate.
Esperienze dolorose, spesso traumatiche, ci hanno segnato con la loro forza dirompente, tuttavia dobbiamo essere capaci di non pietrificarci nella memoria della sofferenza, nel ricordo di un passato divorante: non possiamo mummificarci ed essere vittime di un paralizzante dolore che può generare rancori, odi, vendette.
La fragilità della memoria / dà forza agli uomini.
Occorre sgombrare il presente dalle nostalgie retrotopiche o dalle ombre che lo opprimono, bisogna saper rischiare il volo nel cielo, non radicarsi in una memoria schiacciante e sforzarsi di credere  nella forza motrice degli ideali.
Solo lasciando andare il passato potremo aprire gli occhi e l'animo al futuro, alla speranza.
Vivere è un'esperienza fatta di tagli necessari: i figli lasciano le madri che li hanno allevati e intraprendono il loro viaggio; gli allievi abbandonano i maestri per trasformare quel sapere che hanno da loro appreso in forza necessaria ad affrontare il mondo; se non superiamo il buio della notte non vedremo mai la luce del giorno.
La vita è un eterno divenire, πάντα ῥεῖ, "tutto scorre".

lunedì 2 novembre 2020

Verga, Eva

 I greci innamorati ci lasciarono la statua di Venere,

noi lasceremo il cancan litografato sugli scatolini da fiammiferi.

Non discutiamo nemmeno sulle proporzioni;

l’arte allora era una civiltà, oggi è un lusso:

anzi un lusso da scioperati.

(G. Verga, Prefazione a Eva, 1873)

Un povero pittore di nome Enrico Lanti arrivato dalla Sicilia per trovar fortuna, scommette con alcuni giovani che riuscirà a conquistare la bella fanciulla di cui è innamorato. Si tratta di Eva che si guadagna la vita facendo la ballerina di lusso. Eva lo ricambia pur continuando a condurre la sua vita. Lanti ha però un'idea romantica dell'amore: convince Eva a lasciare il teatro e ad andare a vivere con lui in miseria in una soffitta. Presto le difficoltà economiche e le difficoltà della vita quotidiana prendono il sopravvento sull'amore romantico. Eva lascia Enrico e ritorna alla vita di prima. Lanti raggiunge il successo solo abbassandosi a soddisfare i gusti del pubblico. In un raptus di gelosia uccide l'amante di Eva con cui vorrebbe riprendere la relazione. Presto si ammala di tisi e torna a morire in Sicilia, accolto dalla sua famiglia di origine.


TEMI

a) rapporto tra arte e modernità, dominata dagli interessi economici;

b) contrasto tra città e mondo premoderno (la Sicilia), inteso ancora come un'alternativa alla modernità, luogo di sentimenti e valori genuini;

c) il tema della ballerina come metafora della condizione dell'intellettuale.

Tolouse Lautrec, Moulin Rouge

Con i personaggi di Eva e Enrico Lanti, Verga affronta il problema della crisi dell’arte nella società industriale, in cui dominano gli interessi materiali. La ballerina diventa per l’artista oggetto di identificazione simbolica, rappresenta la sua dipendenza dal mercato. Come, infatti, la ballerina deve il suo successo ai gusti di un pubblico pagante, così l’artista, lo scrittore dipende dal mercato, dai gusti dei lettori, dalle imposizioni dell’industria editoriale che, a sua volta, dalle tendenze del pubblico è condizionata. Il senso sacro dell’arte è ora degradato a mera esibizione, spettacolo, esposizione di sé come merce offerta a chi spende; perciò le metafore dell’artista ora sono costituite da ballerine, clown, saltimbanchi. E il genio creativo è sostituito dal virtuosismo tecnico, dall’artificio di un’arte che “vende” se sta alle regole del gioco industriale, ma che perde, così, i suoi stessi connotati di arte per diventare “prodotto”.

In un’atmosfera di Banche e Imprese industriali  - conclude Verga - non c’è più spazio per l’arte, ma solo per gli affari, per gli utili.


PREFAZIONE A EVA

    Eccovi una narrazione - sogno o storia poco importa - ma vera, com'è stata e come potrebbe essere, senza retorica e senza ipocrisie. Voi ci troverete qualcosa di voi, che vi appartiene, che è frutto delle vostre passioni, e se sentite di dover chiudere il libro allorché si avvicina vostra figlia - voi che non osate scoprirvi il seno dinanzi a lei se non alla presenza di duemila spettatori e alla luce del gas, o voi che, pur lacerando i guanti nell'applaudire le ballerine, avete il buon senso di supporre che ella non scorga scintillare l'ardore dei vostri desideri nelle lenti del vostro occhialetto - tanto meglio per voi, che rispettate ancora qualche cosa. 
  Però non maledite l'arte che è la manifestazione dei vostri gusti. I greci innamorati ci lasciarono la statua di Venere; noi lasceremo il "cancan" litografato sugli scatolini dei fiammiferi. Non discutiamo nemmeno sulle proporzioni; l'arte allora era una civiltà, oggi è un lusso: anzi, un lusso da scioperati. La civiltà è il benessere; ed in fondo ad esso, quand'è esclusivo come oggi, non ci troverete altro, se avete il coraggio e la buona fede di seguire la logica, che il godimento materiale. In tutta la serietà di cui siamo invasi, e nell'antipatia per tutto ciò che non è positivo - mettiamo pure l'arte scioperata - non c'è infine che la tavola e la donna. 
  Viviamo in un'atmosfera di Banche e di Imprese industriali, e la febbre dei piaceri è la esuberanza di tal vita. 
  Non accusate l'arte, che ha il solo torto di avere più cuore di voi, e di piangere per voi i dolori dei vostri piaceri. Non predicate la moralità, voi che ne avete soltanto per chiudere gli occhi sullo spettacolo delle miserie che create, - voi che vi meravigliate come altri possa lasciare il cuore e l'onore là dove voi non lasciate che la borsa, - voi che fate scricchiolare allegramente i vostri stivalini inverniciati dove folleggiano ebbrezze amare, o gemono dolori sconosciuti, che l'arte raccoglie e che vi getta in faccia.

domenica 19 aprile 2020

ROCCO SCOTELLARO



È FATTO GIORNO

È fatto giorno, siamo entrati in giuoco anche noi
con i panni e le scarpe e le facce che avevamo.
Le lepri si sono ritirate e i galli cantano
ritorna la faccia di mia madre al focolare.
(da È fatto giorno, 1954)



LEZIONI DI ECONOMIA

Ti ho chiesto un giorno chi mise
le sentinelle di abeti
visti alle Dolomiti.
Ti ho chiesto tante altre cose
del cisto, del mirto,
dell’inula viscosa,
nomi senza economia.
Mi hai risposto tra l’altro,
che un padre che ama i figli
può solo vederli andar via.
(da È fatto giorno, 1954)
(Tricarico, Matera)


SEMPRE NUOVA È L'ALBA. (1948)

Non gridatemi più dentro,
non soffiatemi in cuore
i vostri fiati caldi, contadini.

Beviamoci insieme una tazza colma di vino!
che all’ilare tempo della sera
s’acquieti il nostro vento disperato.

Spuntano ai pali ancora
le teste dei briganti, e la caverna
l’oasi verde della triste speranza
lindo conserva un guanciale di pietra…

Ma nei sentieri non si torna indietro.
Altre ali fuggiranno
dalle paglie della cova,
perché lungo il perire dei tempi
l’alba è nuova, è nuova.

L'impegno di Rocco Scotellaro, tra lirismo e azione

mercoledì 18 marzo 2020

DIDONE INNAMORATA

DIDONE INNAMORATA
heu, vatum ignarae mentes. quid vota furentem,
quid delubra iuvant? est mollis flamma medullas
interea et tacitum vivit sub pectore uulnus.
uritur infelix Dido totaque vagatur
urbe furens, qualis coniecta cerva sagitta,
(…)
Nunc media Aenean secum per moenia ducit
Sidoniasque ostentat opes urbemque paratam,
incipit effari mediaque in voce resistit;
nunc eadem labente die convivia quaerit,
Iliacosque iterum demens audire labores
exposcit pendetque iterum narrantis ab ore.
post ubi digressi, lumenque obscura vicissim
luna premit suadentque cadentia sidera somnos,
sola domo maeret vacua stratisque relictis
incubat. illum absens absentem auditque videtque,
aut gremio Ascanium genitoris imagine capta
detinet, infandum si fallere possit amorem.
non coeptae adsurgunt turres, non arma iuventus
exercet portusve aut propugnacula bello
tuta parant: pendent opera interrupta minaeque
murorum ingentes aequataque machina caelo.
Ahi, mente ignara degli indovini! A che giovano i voti
ad una folle, a che i templi? La fiamma divora le molli midolla
intanto e tacita vive sotto il petto la ferita.
Si brucia l'infelice Didone e vaga pazza
per tutta la città, quale cerbiatta colpita da freccia,
(…)
Ora conduce Enea con sé in mezzo alle mura
ed ostenta i beni sidonii e la città pronta,
inizia a dire e si blocca in mezzo alla frase;
ora tramontando il giorno chiede uguali conviti,
e di nuovo invoca di ascoltare, pazza, i dolori di Ilio
e di nuovo pende dalla bocca del narratore.
Poi quando, divisi, anche la luna oscurata a sua volta
copre la luce e le stelle tramontando invitano ai sogni,
sola geme nella vuota reggia e sui tappeti abbandonati
si sdraia. Pur lontana, lui lontano lo ode e lo vede,
o trattiene Ascanio in grembo, presa dall'immagine
del padre, se mai potesse ingannare l'indicibile amore.
Le torri iniziate non s'alzano, la gioventù non s'allena
alle armi o non preparano i porti le difese sicure
per la guerra: pendono le opere interrotte e minacce
ingenti di muri ed una macchina eguagliata al cielo.



Le parole di Enea, il suo racconto, producono quello che gli Eurythmics cantarono in The miracle of love. Didone non vuole, non pensa, non desidera e non gradisce amare più nessuno: ma il racconto della lunga guerra persa, della fuga, delle pene, dell’esilio, il miracolo della voce di un eroe senza terra ove trovare rifugio, alla ricerca di quella ancora ignota destinata dagli dei, le spezza e spalanca il cuore.

SENTIMENTI UNIVERSALI

Eurythmics, The miracle of love


How many sorrows
Do you try to hide
In a world of illusion
That's covering your mind?
I'll show you something good
Oh I'll show you something good.
When you open your mind
You'll discover the sign
That there's something
You're longing to find

The miracle of love
Will take away your pain
When the miracle of love
Comes your way again.

Cruel is the night
That covers up your fears.
Tender is the one
That wipes away your tears.
There must be a bitter breeze
To make you sting so viciously
They say the greatest coward
Can hurt the most ferociously.
But I'll show you something good.
Oh I'll show you something good.
If you open your heart
You can make a new start
When your crumbling world falls apart.

The miracle of love
Will take away your pain
When the miracle of love
Comes your way again.

Quanti dolori
Tenti di nascondere
In un mondo di illusione
Che ricopre la tua mente?
Ti mostrerò qualcosa di buono
Oh ti mostrerò qualcosa di buono
Quando capirai
Scoprirai il segno
Che c'è qualcosa
Che tu stavi cercando a lungo...

Il miracolo dell'Amore
Porterà via il tuo dolore
Quando il miracolo dell'amore
Ritroverà il suo cammino verso te

Crudele è la notte
Che copre le tue paure
Tenero è colui
Che asciuga le tue lacrime
Ci deve essere un vento amaro
Per farti pungere cosi viziosamente
Si dice che i più grandi vigliacchi possano ferire così ferocemente
Ma io ti mostrerò qualcosa di buono
Oh ti mostrerò qualcosa di buono
Se apri il tuo cuore
Potrai vivere una nuova partenza
Quando il tuo traballante mondo cadrà a pezzi

Il miracolo dell'amore
Porterà via il tuo dolore
Quando il miracolo dell'amore
Ritroverà il suo cammino verso te



giovedì 26 settembre 2019

I CLASSICI: IL MALE DI VIVERE. TAEDIUM, STRENUA INERTIA, DISPLICENTIA SUI

LUCREZIO E IL TAEDIUM VITAE
Si possent homines, proinde ac sentire videntur
pondus inesse animo quod se gravitate fatiget,
e quibus id fiat causis quoque noscere et unde
tanta mali tamquam moles in pectore constet,
haud ita vitam agerent, ut nunc plerumque videmus
quid sibi quisque velit nescire et quaerere semper
commutare locum quasi onus deponere possit.
Exit saepe foras magnis ex aedibus ille,
esse domi quem pertaesumst, subitoque revertit,
quippe foris nilo melius qui sentiat esse.
Currit agens mannos ad villam praecipitanter,
auxilium tectis quasi ferre ardentibus instans;
oscitat extemplo, tetigit cum limina villae,
aut abit in somnum gravis atque oblivia quaerit,
aut etiam properans urbem petit atque revisit.
Hoc se quisque modo fugit, at quem scilicet, ut fit,
effugere haud potis est, ingratius haeret et odit
propterea, morbi quia causam non tenet aeger;
quam bene si videat, iam rebus quisque relictis
naturam primum studeat cognoscere rerum,
temporis aeterni quoniam, non unius horae,
ambigitur status, in quo sit mortalibus omnis
aetas, post mortem quae restat cumque manenda.

Alla perenne insoddisfazione di sé, l'epicureo Lucrezio offre come rimedio la filosofia, la conoscenza delle causae rerum: solo la filosofia, cioè una saggezza fondata sulla ragione, può liberare l'uomo dalle sue angosce, perché lo induce a riflettere non solo sulla sua particolare situazione contingente, ma sull'intera esistenza umana e gli consente di affrancarsi dalle sue eterne fonti di sofferenza: la paura del dolore, della morte, delle punizioni divine. Indagare le leggi di natura significa quindi cercare delle risposte utili a placare le ansie della vita.


ORAZIO E LA STRENUA INERTIA 
Tu quamcumque deus tibi fortunaverit horam
grata sume manu neu dulcia differ in annum,
ut quocumque loco fueris vixisse libenter
te dicas; nam si ratio et prudentia curas,
non locus effusi late maris arbiter aufert;
caelum non animum mutant qui trans mare currunt.
Strenua nos exercet inertia: navibus atque
quadrigis petimus bene vivere. Quod petis hic est,
est Ulubris, animus si te non deficit aequus.
(Orazio, Ep. I,11, vv.22-30)
Tu qualunque momento la divinità ti abbia concesso
accettalo con mano grata e non rinviare le gioie di anno in anno,
affinché in qualsiasi luogo tu ti sia trovato tu dica
di esser vissuto volentieriinfatti se ragione e saggezza tolgono le ansie,
non (le toglie) un luogo che domina il mare che si estende ampiamente;
climanon stato d'animo cambiano quelli che corrono oltre il mare.
Ci tormenta una faticosa inattivitàcon navi e
quadrighe cerchiamo di vivere beneQuello che cerchi è qui,
è a Ulubrese non ti manca una mente serena.

Strenua inertia è una callida iunctura che unisce l'idea di un continuo affaticarsi (strenua) a quella del torpore (inertia). Per l'epicureo Orazio la strenua inertia è un ozio tormentoso, senza riposo, che stanca la mente e lo spirito, fiaccati da un'incontentabilità senza fine e dalla mancanza di equilibrio interiore, la sola virtù capace di individuare la reale gerarchia di valori. Il poeta propone al suo amico Bullazio, cui dedica l'Epistola di raggiungere un animus aequus, un animo sereno, l'equilibrio interiore, la capacità di cogliere gli attimi di pienezza e di affidarsi alla ratio e alla prudentia, alla saggezza pratica di saper dare il giusto peso agli eventi della vita.

SENECA E LA DISPLICENTIA SUI
10 Hinc illud est taedium et displicentia sui et nusquam residentis animi uolutatio et otii sui tristis atque aegra patientia, utique ubi causas fateri pudet et tormenta introrsus egit uerecundia, in angusto inclusae cupiditates sine exitu se ipsae strangulant; inde maeror marcorque et mille fluctus mentis incertae, quam spes inchoatae suspensam habent, deploratae tristem; inde ille affectus otium suum detestantium querentiumque nihil ipsos habere quod agant, et alienis incrementis inimicissima inuidia (alit enim liuorem infelix inertia et omnes destrui cupiunt, quia se non potuere prouehere); 11 ex hac deinde auersatione alienorum processuum et suorum desperatione obirascens fortunae animus et de saeculo querens et in angulos se retrahens et poenae incubans suae, dum illum taedet sui pigetque. Natura enim humanus animus agilis est et pronus ad motus. Grata omnis illi excitandi se abstrahendique materia est, gratior pessimis quibusque ingeniis, quae occupationibus libenter deteruntur: ut ulcera quaedam nocituras manus appetunt et tactu gaudent et foedam corporum scabiem delectat quicquid exasperat, non aliter dixerim his mentibus, in quas cupiditates uelut mala ulcera eruperunt, uoluptati esse laborem uexationemque. 12 Sunt enim quaedam quae corpus quoque nostrum cum quodam dolore delectent, ut uersare se et mutare nondum fessum latus et alio atque alio positu uentilari: qualis ille homericus Achilles est, modo pronus, modo supinus, in uarios habitus se ipse componens, quod proprium aegri est, nihil diu pati et mutationibus ut remediis uti.
(Seneca, De tranquillitate animi, 2, 10-15)

Di qui quella noia e quell’insofferenza di sé, e l’irrequietezza dell’animo che non trova pace in nessun posto, e la triste e angosciosa sopportazione della propria inattività, soprattutto quando si ha ritegno ad ammetterne i motivi e il pudore ricaccia dentro il tormento, mentre le passioni, confinate in una angusta prigione, senza sbocchi, si soffocano a vicenda; di qui la tristezza, la depressione e i mille ondeggiamenti dell’animo incerto, che la speranza accarezzata tiene sospeso, la frustrazione rende triste; di qui l’atteggiamento di quanti detestano il proprio riposo e si lamentano di non aver nulla da fare; di qui, anche, l’invidia feroce per i successi altrui. Perché l’inattività insoddisfatta nutre il livore e, non avendo potuto farsi avanti loro, desiderano la rovina di tutti; quindi, per questa rabbia dei successi altrui e per la sfiducia riguardo ai propri, l’animo si adira contro la sorte e si lamenta dei tempi in cui vive ritirandosi negli angoli a rimuginare sulla propria pena, mentre prova fastidio e vergogna di sé.
Infatti l’animo umano è per natura attivo e portato al movimento. Gli è gradita ogni occasione di muoversi e distrarsi, e ancor più gradita a quei pessimi soggetti che volentieri si lasciano logorare dalle occupazioni; come certe ferite cercano le mani che recheranno loro dolore e godono d’essere toccate, e come la scabbia ripugnante trova sollievo in tutto ciò che la irrita (il grattare dà sollievo alla scabbia deturpante), non diversamente direi che per questi caratteri, in cui le passioni esplodono come ferite dolorose, lo sconvolgimento e l’agitazione sono fonti di piacere. Ci sono infatti cose che arrecano diletto al nostro corpo anche con un certo dolore, come voltarsi e girare il fianco non ancora stanco e prendere fresco ora in una posizione ora in un’altra, come quel famoso Achille descritto da Omero, che, ora prono, ora supino, assume varie posizioni - il che è proprio di un malato - non
ne sopporta a lungo nessuna e usa i cambiamenti come rimedi. Quindi si intraprendono viaggi senza meta e si va errando da una spiaggia all’altra sperimentando ora per mare ora per terra l’instabilità sempre nemica del presente: “ora andiamo in Campania.”
Ma subito i luoghi deliziosi vengono a noia: “andiamo a vedere quelli incolti, andiamo tra i monti del Bruzio e della Lucania”. tuttavia in mezzo ai luoghi desolati si cerca qualcosa di piacevole, in cui gli occhi avidi di godimento possano trovar sollievo dalla lunga desolazione dei luoghi selvaggi: “andiamo a Taranto, nel suo decantato porto, in quella terra dove l’inverno è così mite e la ricchezza sufficiente anche per la popolazione di un tempo”. “Ma via, andiamo a Roma”: da troppo tempo le orecchie sono restate lontane dagli applausi e dal chiasso, ora fa piacere godere della vista del sangue umano. Si intraprende un viaggio dietro l’altro e si sostituisce uno spettacolo con un altro. Come dice Lucrezio, in questo modo ciascuno fugge continuamente se stesso. Ma a che serve, se non ci riesce? Ciascuno sempre si segue e si incalza da solo, compagno insopportabile di sé. Dunque dobbiamo convincerci che non è colpa dei luoghi il male di cui soffriamo, ma nostra: siamo incapaci di sopportare ogni cosa, e non tolleriamo troppo a lungo la fatica né il piacere né noi stessi né niente. Ciò ha portato alcuni alla morte, poiché, cambiando continuamente propositi, finivano per riproporre sempre le stesse cose senza lasciare spazio al nuovo: cominciarono a provare disgusto per la vita e per il mondo stesso e si insinuò in loro quel famoso dubbio proprio di chi marcisce in mezzo alle mollezze: “Fino a quando sempre le stesse cose?”.

Per lo stoico Seneca a nulla valgono i rimedi illusori che l'animo inquieto individua per tentare di fuggire da se stesso: peregrinationes vagae (viaggi vagabondi, senza meta precisa, fughe da sé). La sola forza sta nell'indagine interiore alla scoperta della virtus, che è il presupposto necessario al raggiungimento della tranquillitas animi, la quiete dell'animo. Secondo lo Stoicismo, infatti, l'imperturbabilità, l'atarassia, sono obiettivi che si ottengono solo vivendo secondo virtù, ossia secondo ragione, sconfiggendo, cioè, la tirannia delle passioni e dei falsi piaceri.




lunedì 23 settembre 2019

CONSIGLI DI SCRITTURA

Scrivere è... scegliere le parole giuste



A. Manzoni, "Lettera a M. Chauvet
Perché, in sostanza, cosa ci dà la storia? Avvenimenti noti, per così dire, solo esteriormente; ciò che gli uomini hanno fatto; ma ciò che hanno pensato, i sentimenti che hanno accompagnato le loro deliberazioni e i loro progetti, i loro successi e insuccessi, i discorsi con i quali hanno fatto e cercato di far prevalere le loro passioni e le loro volontà su altre passioni e altre volontà, con i quali hanno espresso la loro collera, effuso la loro tristezza, con i quali in una parola, hanno manifestato la loro individualità, tutto ciò, tranne pochissimo, è passato sotto silenzio dalla storia, e tutto ciò forma il dominio della poesia. Eh! sarebbe ingenuo temere che manchi ad essa l’occasione di creare, nel senso più serio, forse il solo serio, di questa parola! Ogni segreto dell’anima umana si svela, tutto ciò che genera i grandi avvenimenti, tutto ciò che caratterizza i grandi destini, si rivela alle immaginazioni dotate d’una sufficiente forza di simpatia. Tutto ciò che la volontà umana ha di forte o di misterioso, e la sventura di religioso e di profondo, il poeta può indovinarlo; o, per meglio dire, scorgerlo, afferrarlo e esprimerlo.



Legge di Borg: “Mi impegna tutto, anche un set con  mio nonno”. ( B. Borg, tennista).
Bisogna impegnarsi, con scrupolo e precisione. Concentratevi su quello che state scrivendo: silenziate le notifiche su facebook, Instagram.

Scrivete prima una bozza, poi fate integrazioni, aggiunte, ritocchi, correzioni.

Legge di Levi: “Non si dovrebbe scrivere oscuro, perché uno scritto ha tanto più valore quanto meglio viene compreso e quanto meno si presta ad interpretazioni equivoche. La scrittura serve a comunicare, a trasmettere informazioni e chi non viene capito da nessuno non trasmette niente”. ( P. Levi, scrittore).
Ordine, efficacia, chiarezza sono gli ingredienti irrinunciabili di un buon testo.

Legge di Catone: “Rem tene, verba sequentur”. ( Catone il Censore, intellettuale latino).
Se conosciamo bene l’argomento, troveremo anche le parole per spiegarlo.

Rispettate le tracce, le consegne.

Leggete, studiate, tenete gli occhi aperti sul mondo, ascoltate le persone che hanno cose da dire sugli argomenti più disparati, vedete programmi interessanti in TV, su You Tube, siate curiosi e approfittate di occasioni culturali (cinema, teatro, presentazioni di libri, conferenze, mostre, convegni). In questo modo arricchirete i vostri testi. Soprattutto: scrivete. Si impara a nuotare nuotando, non leggendo un manuale di nuoto.

Scrivete con una bella grafia: è buona educazione e soprattutto è nel vostro interesse, perché sarete giudicati prima di tutto dalla forma. E una grafia sciatta e disordinata scoraggia i lettori.

Andate a capo quando un pensiero è stato articolato nella sua interezza e bisogna passare ad altro argomento.

Semplificate. Evitate periodi troppo lunghi, pieni di subordinate. Ma non limitatevi a mettere solo frasette in fila.

Sforzatevi di non alterare l’ordine naturale delle parole: soggetto-verbo complemento.

Evitate le rime o i bisticci di parole: "la circolare sulle uscite a teatro è circolata?"

Organizzate bene l’esposizione secondo dati essenziali da arricchire poi con opinioni personali: who, when, what, where, why.

Cercate uno stile personale che catturi l'attenzione del lettore e non lo annoi, senza però pretendere di essere originali per forza e stupire con effetti speciali.

Non perdetevi in preamboli inutili, introduzioni lunghe e andate subito al punto. Entrate “in medias res”. 

Non cercate il finale memorabile: sobrietà e discrezione: ricorrete a una frase che sintetizzi il vostro punto di vista in modo efficace e nuovo rispetto allo svolgimento, senza ripetervi; potete ricorrere a un domanda. Evitate di lanciare un  messaggio o di scrivere un’esortazione.

Evitate le frasi fatte, i cliché, gli stereotipi linguistici (oggigiorno, per così dire, quello che è + nome; luoghi comuni: senza se e senza ma; la donna è la regina della casa…): scegliete le parole con cura.

Evitate le coppie di nomi e aggettivi che sono sinonimi: uno è sufficiente (era un tipo triste e afflitto; arrivai a casa, la mia dimora; vidi una giovane ragazza).

Usare i CONNETTIVI, formule che connettono le varie parti del testo e servono ad articolare il pensiero.
-          Espressioni (da una lato … dall’altro; possiamo osservare due cose: la prima è che … la seconda, invece,  è che...; per quanto riguarda il primo punto… per quanto concerne il secondo…);
-          Avverbi e locuzioni avverbiali (affermative – certo, senza dubbio; modali – comunque; temporali – poi, allora; concessive – tuttavia, peraltro; conclusivi, dunque, pertanto, quindi)
-          Congiunzioni (causali- poiché; finali- affinché; avversative- ma, però; coordinanti - e anche).

Rendere ben evidente e individuabile la propria tesi. Spiegate le cose, non datele per scontate, evitate i salti logici.

La punteggiatura ha valore.
-         -  La donna tornò a casa all’improvviso e trovò il marito a letto, e non era solo. (valore denotativo, informativo).
-         -  La donna tornò a casa all’improvviso e trovò il marito a letto. E non era solo. (Sconcerto e sorpresa).
-         -  La donna tornò a casa all’improvviso e trovò il marito a letto. E non era solo… (Suspense)
-         -  La donna tornò a casa all’improvviso e trovò il marito a letto… E non era solo! (suggerimento acuto su che cosa possa essere accaduto dopo…).

Evitate l’abuso della prima persona: "io io io" non è elegante. Universalizzate i concetti. Io amo leggere sul divano= è molto piacevole e rilassante leggere sul divano.

Scrivere bene non significa scrivere tanto: bisogna saper distinguere l’essenziale dal secondario, ci vuole il coraggio di eliminare l’inutile, non si deve essere verbosi. La prolissità è un difetto: less is more. La revisione di un testo serve a togliere il superfluo.

Rileggere il vostro lavoro serve a correggere errori: molti dipendono dalla distrazione, dalla fretta.
Verificate dati e informazioni per evitare errori di contenuto. Curate la forma (doppie, uso della lettera H per il verbo avere, accenti, apostrofi).

Citate e virgolettate solo se siete sicuri, altrimenti riportate il pensiero di un  autore con le vostre parole. Se non ricordate la citazione in lingua, evitatela, ma non citate in modo scorretto. I titoli vanno tra virgolette.

Mantenete lo stesso tempo verbale senza oscillare tra passato e presente.

(Testo sintetizzato e liberamente ispirato a C. Giunta, Come non scrivere, UTET, 2018)


ESEMPI DI SCRITTURA ARGOMENTATIVA
1) MASSIMO RECALCATI
2) ANNAMARIA TESTA

domenica 10 febbraio 2019

ROBINSON CRUSOE

NASCITA DEL ROMANZO MODERNO
Il romanzo moderno del Settecento si rivolge a un pubblico di massa e non a un gruppo ristretto di intellettuali. Questo spiega il successo del nuovo genere in Francia e in Inghilterra, dove la borghesia si amplia e afferma il proprio potere politico ed economico, al punto che si può parlare di "romanzo borghese": il nuovo romanzo è infatti rivolto al pubblico borghese; la borghesia vi si riconosce; emerge una vera e propria etica borghese veicolata dai romanzi che hanno come protagonisti "eroi" di ogni giorno capaci di costruire la propria vita con le loro ingegnose capacità. Nei romanzi borghesi i personaggi mostrano una forte fiducia in se stessi e nella vita, le vicende narrate traggono spunto dalla realtà e si allontanano da narrazioni mitologiche o cavalleresche: la novità dei temi e degli intrecci fa sì che in Inghilterra il romanzo prenda il nome di "novel".

Vita e avventure di Robinson Crusoe. TRAMA DEL ROMANZO
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Incipit del romanzo Vita e avventure di Robinson Crusoe
I. Primi anni di gioventù.
Nacqui dell'anno 1632 nella città di York d'una buona famiglia, benché non del paese, perché mio padre, nativo di Brema, da prima venne a mettere stanza ad Hull; poi fattosi un buono stato col traffico e dismesso indi il commercio, trasportò la sua dimora a York; nella qual città sposò la donna divenuta indi mia madre. Appartiene questa alla famiglia Robinson, ottimo casato del paese; onde io fui chiamato da poi Robinson Kreutznaer, ma per l'usanza che si ha nell'Inghilterra di svisar le parole, siamo or chiamati anzi ci chiamiamo noi stessi, e ci sottoscriviamo Crusoe, e i miei compagni mi chiamarono sempre così.
Ebbi due fratelli maggiori di me, un de' quali, tenente-colonnello in un reggimento di fanteria inglese, servì nella Fiandra, prima sotto gli ordini del famoso colonnello Lockhart, poi rimase morto nella battaglia accaduta presso Dunkerque contro agli Spagnuoli. Che cosa divenisse dell'altro mio fratello non giunsi a saperlo mai più di quanto i miei genitori abbiano saputo in appresso che cosa fosse divenuto di me. Terzo della famiglia, né essendo io stato educato ad alcuna professione, la mia testa cominciò sin di buon'ora ad empirsi d'idee fantastiche e girovaghe.
Mio padre, uomo già assai vecchio, che mi aveva procurata una dose ragionevole d'istruzione, fin quanto può aspettarsi generalmente da un'educazione domestica e dalle scuole pubbliche del paese, mi destinava alla professione legale; ma nessuna vita mi garbava fuor quella del marinaio, la quale inclinazione mi portò sì gagliardamente contro al volere, anzi ai comandi di mio padre, e contro a tutte le preghiere e persuasioni di mia madre e degli amici, che si sarebbe detto esservi nella mia indole una tal quale fatalità, da cui fossi guidato direttamente a quella miserabile vita che mi si apparecchiava.
Mio padre, uom grave e saggio, mi avea dati seri ed eccellenti consigli per salvarmi da quanto egli presentì essere il mio disegno. Mi chiamò una mattina nella sua stanza ove lo confinava la gotta, e lagnatosi caldamente meco su questo proposito, mi chiese quali motivi, oltre ad un mero desiderio di andar vagando attorno, io m'avessi per abbandonare la mia casa ed il mio nativo paese, ove io poteva essere onorevolmente presentato in ogni luogo, e mi si mostrava la prospettiva di aumentare il mio stato, l'applicazione e l'industria, e ad un tempo la sicurezza di una vita agiata e piacevole. (...)
"Dunque sii uomo; non precipitarti da te medesimo in un abisso di sventure contro alle quali la natura e la posizione in cui sei nato, sembrano averti premunito; non sei tu nella necessità di mendicarti il tuo pane. Quanto a me, son disposto a farti del bene e ad avviarti bellamente in quella strada che ti
ho già raccomandata come la migliore; laonde se non ti troverai veramente agiato e felice nel mondo, ne avranno avuto unicamente la colpa o una sfortuna non prevedibile o la tua mala condotta, venute ad impedirti sì lieto destino. Ma non avrò nulla da rimproverare a me stesso, perché mi sono sdebitato del mio obbligo col farti cauto contro a quelle tue risoluzioni che vedo doverti riuscire rovinose. Son prontissimo dunque a far tutto a tuo favore, se ti determini a rimanertene in mia casa e ad accettare
un collocamento quale te l'ho additato; ma altresì non coopererò mai alle tue disgrazie col darti veruna sorta d'incoraggiamento ad andartene." (...)
II. Fuga.
Sol quasi un anno dopo io ruppi il freno del tutto; benché in questo intervallo avessi continuato a mostrarmi ostinatamente sordo ad ogni proposta di dedicarmi a qualche professione, e benché frequentemente mi fossi querelato de' miei genitori per questa loro volontà, sì fermamente dichiarata contro a quanto sapevano essere, com'io diceva, la decisa mia vocazione. Ma trovatomi un giorno ad Hull, ove capitai a caso e in quel momento senza verun premeditato disegno, incontrai uno de' miei
compagni, che recandosi allora a Londra per mare sopra un vascello del padre suo, mi sollecitò ad accompagnarlo col solito adescamento degli uomini di mare: col dirmi cioè, che un tal viaggio non mi sarebbe costato nulla. Non consultai nè mio padre nè mia madre, nè tampoco mandai a dir loro una parola di ciò; ma lasciai che lo sapessero come il Cielo lo avrebbe voluto, e partii senza chiedere nè la benedizione di Dio, nè quella di mio padre; senza badare a circostanze o conseguenze; e partii in una trista ora: Iddio lo sa! Nel primo giorno di settembre del 1651 mi posi a bordo di un vascello diretto a Londra. 

Robinson sull'isola
http://online.scuola.zanichelli.it/lettereinmovimento-files/Vol_2/brani/v2_c1_giallo.pdf

L'incontro con Venerdì
http://www.edu.lascuola.it/edizioni-digitali/Convivio/letture/DDefoe_incontroconvenerdi.pdf