IL MEDIOEVO
IL MEDIOEVO. L’affermazione delle lingue volgari
IL MEDIOEVO.
PERIODIZZAZIONE
Il MEDIOEVO ( “età di mezzo” )
si situa cronologicamente tra la caduta dell’Impero romano d’Occidente (476) e
la nascita della nuova cultura umanistica del ‘400
e ‘500.
Si può
distinguere tra Alto Medioevo (fino al Mille), caratterizzato dalle strutture socio-politiche
del feudalesimo e Basso Medioevo (dopo il Mille).
MEDIOEVO: SECOLI BUI?
Almeno a partire dal secolo XI non
si può più designare il Medioevo – seguendo schemi interpretativi elaborati fra
Cinque e Ottocento – come età buia, di tenebre; in esso semmai la nostra età
riconosce la propria infanzia, il vero inizio dell’Occidente attuale. (J. Le Goff)
In effetti prima dell’anno Mille ci
sono evidenti segni di crisi e di disfacimento dei vecchi tessuti connettivi:
le scuola vengono abbandonate, il latino scompare come lingua, lasciando il
posto alle parlate in volgare, le città si spopolano, l’uso del denaro
viene abbandonato e si torna la baratto, non ci sono strutture politiche e il
vuoto istituzionale è colmato dalla Chiesa, la sola autorità in grado peraltro
di convertire le popolazioni germaniche penetrate nell’Europa occidentale e
meridionale.
Già nell’800, con Carlo Magno ci sono
segni di ripresa culturale (la rinascita carolingia) - grazie alla schola
palatina da lui fondata e dedicata all’alfabetizzazione e alla
conservazione dei testi cristiani e classici, grazie alle capacità
organizzative del monaco Alcuino da York
e dello storico Paolo Diacono - e
poi, subito dopo il Mille si registrano riprese economiche con la
rinascita della città, di un’economia monetaria, di commerci e scambi culturali
e con l’avvio di un artigianato preindustriale, con lo sviluppo dei settori
della produzione di beni materiali e del commercio.
Questa evoluzione determinerà il
passaggio dalla spazio della campagna (arroccamento delle folle presso i
castelli feudali o presso le abazie, secondo schemi di economia
autosufficiente) allo spazio organizzato della città con conseguente passaggio
dal feudalesimo al governo cittadino del comune.
LA CULTURA
INTORNO ALL’ANNO MILLE
Si può
parlare di sincretismo culturale (tendenza a conciliare e integrare
elementi appartenenti a culture diverse): accanto ai retaggi della latinità,
l’Europa si apre a influssi di vario genere, soprattutto alle suggestioni
degli Arabi, penetrati in Sicilia e Spagna, che diffondono commenti alle
opere di Aristotele, studi di matematica, astronomia, geografia e, in generale,
tutto quello che indichiamo come “metodo sperimentale”.
In particolare la narrativa
occidentale viene influenzata dalla novellistica araba ( per via
dell’impalcatura a cornice che raccoglie vari racconti)della raccolta Le
mille e una notte, giunta in Occidente nel XII secolo. Inoltre,
determinante fu l’influenza dell’aristotelismo arabo: Avicenna, medico e
filosofo musulmano scrisse un’enciclopedia medica e contemperò il pensiero di
Aristotele con quello di Platone; Averroè spinse il materialismo aristotelico
sino alla negazione dell’immortalità dell’anima individuale e promosse un
atteggiamento scientifico e razionale nello studio dei fenomeni naturali.
Durante
l’impero di Carlo Magno si tiene il Concilio di Tours (813), in
occasione del quale i sacerdoti vengono incoraggiati all’uso del volgare
francese nelle prediche per farsi comprendere da masse non alfabetizzate. Questa
decisione segna l’inizio dell’uso del francese anche come lingua letteraria
nelle chansons, nei romanzi, nella lirica provenzale.
LE FIGURE
INTELLETTUALI
In tutto l’Alto Medioevo fino al XII
secolo la diffusione della cultura fu orale: la dissoluzione del
sistema scolastico pubblico, la limitazione dell’insegnamento alla formazione
del clero da parte della Chiesa, la scomparsa di un pubblico, l’accentramento
di ogni attività culturale intorno alle sedi episcopali, monasteri, palazzi
imperiali, riducevano le possibilità di incontro e di esperienze culturali.
Occasioni favorevoli – ma
limitatamente alla trasmissione orale del sapere - erano le feste religiose,
nelle quali il confine tra residui pagani e riti cristiani non sempre era
chiaro, e le fiere di prodotti artigianali e agricoli.
In questi momenti di aggregazione la
folla si riuniva attorno al giullare di piazza. Nelle corti c’era,
invece, il giullare di corte.
I giullari (ioculares =
“buffoni”) erano mimi attori, suonatori, saltimbanchi e giocolieri che
intrattenevano il pubblico girovagando di paese in paese e di corte in corte;
per i loro scherzi e spettacoli a volte volgari e osceni, erano malvisti dalla
Chiesa, che li considerava continuatori delle tradizioni pagane. Con il passare
del tempo i giullari si specializzano nel canatre e recitare testi poetici
spesso composti da loro stessi in volgare, soprattutto in Francia, raggiungendo
successo e fama.
Erano delle figure laiche (dal
greco laikós, “proprio del popolo”: indicava chi non faceva parte del
clero) di intellettuali, proprio come i clerici vagantes, delle
eccezioni, in un’epoca in cui il ceto intellettuale coincideva con quello
religioso. Si trattava di studenti che passavano da un’università all’altra e
componevano testi profani.
Giullari e clerici vagantes avevano
un ruolo di spicco nelle feste del Carnevale in cui incoraggiavano il
popolo a esprimere, attraverso la parodia, il rovesciamento dei valori correnti
e dell’autorità del potere politico e religioso e delle sue leggi: si affermava
il valore di un “mondo alla rovescia” che sosteneva le ragioni materiali e
corporali contro quelle esclusivamente spirituali dominanti e che influenzerà
la poesia di Cecco Angiolieri e la narrativa di Boccaccio. (Cfr. saggio di Bachtin p. 12 del manuale di Luperini)
IL LIBRO E
LA LETTURA
Nell’Alto
Medioevo la diffusione della cultura era prevalentemente orale e davvero pochi
sapevano scrivere e leggere: persino Carlo Magno pare che sapesse a malapena
apporre la propria firma. La scrittura era praticata solo dal clero nel
silenzio degli scriptoria dei conventi e dei monasteri.
Il libro e
il suo contenuto erano appannaggio di pochi e avevano perciò un valore immenso,
fonte assoluta di verità e autorità. Divenne, perciò abituale la pratica della citazione
- per legittimare, con il riferimento agli autori del passato, il valore del
proprio discorso – e della glossa (o nota al testo) e del commento volto
ad attualizzare testi antichi con il rischio di perdere il senso della loro
distanza o differenza rispetto al presente o di alterarne il significato
originale.
Il libro
o codex era considerato prezioso, le biblioteche ne possedevano solo
qualche centinaio di esemplari. La lettura era svolta ad alta voce anche quando
era solitaria (solo nel XII secolo si diffuse la lettura silenziosa) e la
scrittura non separava tra loro le parole, per economizzare gli spazi: ciò
rendeva difficile la decifrazione dei testi. Solo nel XIII secolo le parole
vennero tra loro staccate e la lettura diventò più agevole.
Le parole
latine AUCTOR e AUCTORITAS derivano dal verbo AUGEO (accrescere): in
questi termini è presente un’idea di accrescimento quantitativo e qualitativo
che attribuisce a qualcosa una maggiore forza e importanza. Perciò, quando
Dante dice a Virgilio tu se’ lo mio maestro e ‘l mio autore (Inferno,
I,85) intende non solo - banalmente –
che Virgilio è il suo scrittore preferito, ma vuol sottolineare che il poeta
latino è per lui una guida, un esempio, un modello autorevole, dotato, cioè, di
auctoritas.
Naturalmente
il libro dei libri è la Bibbia. Tutto lo scibile umano, l’interpretazione del
mondo, della natura e della storia nel Medioevo non rispondono ad un’esigenza
di conoscenza scientifica e oggettiva, ma a un’idea precostituita del mondo,
fondata sull’autorità della Bibbia e dei padri della Chiesa, sulla base
dei quali si leggeva e si interpretava anche la cultura classica.
SPAZIO E
TEMPO
La concezione del mondo è gerarchica
e piramidale: subordinata all’autorità politica e religiosa, dominata
dall’idea della trascendenza e caratterizzata da grandi opposizioni (Dio
e Satana, Paradiso e Inferno, anima e corpo).
Le figure sociali di spicco sono il monaco
che si dedica alla vita contemplativa e il cavaliere che si batte per il
proprio signore e in difesa della fede cristiana.
La dimensione orizzontale dello
spazio (quella dell’esperienza umana nel mondo) è subordinata a quella
verticale: la verità e il potere discendono dall’alto, dal cielo.
Il tempo è quello della Chiesa,
scandito dalle ore canoniche e dal suono delle campane che obbediscono alle
esigenze della liturgia e non a quelle della produzione economica: l’ora come
unità produttiva non esiste (cfr. saggio di Le Goff p. 14 del manuale di
Luperini).
Manca, inoltre, qualsiasi concezione
evolutiva della storia, anzi, si pensa che il futuro coincida con la fine del
mondo e che il passato abbia inizio con la creazione del mondo e di Adamo ed
Eva, la cui realtà storica non è mai posta in dubbio. È convinzione di tutti
che un’imminente catastrofe – intorno all’anno Mille – attesa con paura segnerà
la fine della storia e porterà al compimento del Regno di Dio (Millenarismo)
SIMBOLISMO E
ALLEGORISMO
L’interpretazione
della natura è simbolica: in essa si vede la presenza di forze divine e misteriose,
interpretate secondo criteri di somiglianza del tutto intuitivi che
connettono tra loro i diversi piani dell’esperienza: ogni particolare assume
un valore trascendente. I trattati dedicati agli animali (bestiari) o alle
pietre (lapidari) non studiano affatto le loro caratteristiche specifiche e
fisiche, ma i loro presunti valori morali o religiosi, senza alcuna distinzione
fra esseri esistenti o immaginari (come draghi o unicorni). (cfr. saggio sui
bestiari p. 16 del manuale di Luperini).
Presuppone,
invece, una mediazione razionale e culturale l’interpretazione allegorica della
storia in chiave cristiana: tutto il mondo classico – quando non viene condannato come
profano – è reinterpretato allegoricamente in chiave cristiana secondo i
procedimenti del sincretismo culturale, con evidenti forzature e alterazioni
rispetto ai significati originali dei testi antichi.
In questo
contesto si colloca l’interpretazione figurale: il mondo antico è
figura, cioè, prefigurazione e anticipazione di verità che saranno chiarite nel
Nuovo Testamento: il racconto biblico della liberazione degli Ebrei dalla
schiavitù d’Egitto ad opera di Dio è sì un fatto storico, ma prefigura l’evento
religioso fondamentale del Cristianesimo: la liberazione dell’umanità dal
peccato grazie alla redenzione di Cristo di cui i Vangeli parlano. In questa
lettura anche i versi dei poeti pagani sono considerati “belle menzogne” che
nascondono verità più profonde, dirà Dante.
Ai
significati morali sottesi all’allegoria si aggiungono quelli anagogici,
religiosi e teologici, riguardanti direttamente l’essenza di Dio.
IL MEDIOEVO. L’affermazione delle lingue volgari
Il latino è
l’unica lingua scritta nell’Alto Medioevo; la lingua parlata si era allontanata
dal latino, fondendosi con apporti delle lingue germaniche. Quindi la distanza
tra il latino e le lingue parlate era sempre più grande. Le varie lingua
parlate vengono chiamate “volgari” (da vulgus, popolo) in quanto
parlate dal popolo, solo nel Basso Medioevo diventano lingue scritte, dando
vita alle diverse letterature nazionali. Il latino resterà la lingua dei dotti.
I volgari
sono detti anche lingue romanze dall’espressione romanice loqui.
Il termine romanzo indicherà il genere letterario più diffuso in lingua
romanza, cioè la narrativa cavalleresca, e poi qualsiasi tipo di narrazione
sino al moderno romanzo.
Le lingue
romanze possono essere definite anche dal modo in cui si significava il “sì”
nei vari volgari: l’italiano era detto da Dante la “lingua del sì” (dal latino sic),
il provenzale era detto “lingua d’oc” (da hoc o hoc
est per dire “sì”), il francese era chiamato “lingua d’oil”
(da hoc ille che diventerà l’attuale oui francese)
Primato
cronologico della letteratura francese
La letteratura francese comincia nel
secolo XI, quella spagnola nel secolo XII e quella italiana nel XIII, con la
Lauda di S. Francesco. Il primato cronologico francese è legato ad un ‘egemonia
culturale: è dalla Francia che si diffonde la cultura cortese, espressione
dell’aristocrazia feudale.
IL CAVALIERE
Il cavaliere
è una figura centrale della società cortese. L’istituto della cavalleria
subisce una profonda trasformazione: i cavalieri, in origine rozzi e brutali
avventurieri, assumono i valori cristiani, utilizzano la forza e l’abilità
guerresca non per predare ma per difendere i poveri e per nobili imprese spesso
al servizio della Chiesa; nel tempo i cavalieri diventano portatori di
un’ideologia fondata sulla liberalità e sulla “cortesia”, un complesso di
qualità personali basate sulla lealtà e sulla nobiltà d’animo contrapposte sia
alla “villania”, la rozzezza dei contadini, sia sulla presunzione della nobiltà
di sangue dei ceti aristocratici.
Nasce, poi,
la figura laica del cavaliere-poeta che canta la donna amata ripetendo nei suoi
confronti, attraverso il servitium
amoris, l’atto di omaggio vassallatico prima dovuto al signore.
L’amore
cortese, che comporta una rivalutazione della figura femminile, risulta, così,
omogeneo al sistema sociale feudale, ma ha in sé una componente eversiva
rispetto all’etica della Chiesa: l’amore cortese è per definizione
extraconiugale e intacca, quindi, l’istituto che la Chiesa considera la cellula
principale del tessuto sociale, il matrimonio e la famiglia.
L’amor
cortese è oggetto sia del romanzo sia della lirica.
Il romanzo è
rivolto a un pubblico di dame e cortigiani che leggono per diletto, la poesia è
cantata non più solo dal cavaliere-poeta o dal giullare itinerante. Alla fine
del Duecento il poeta diviene un menestrello, cioè un ministerialis, un
impiegato di corte retribuito. Il giullare non scompare, ma retrocede nella
scala sociale.
Il trovatore
è il poeta che si esprime in lingua d’oc; il troviere usa la lingua
d’oil.
Trobar significa “trovare tropi musicali”, cioè comporre testi e melodie
in una stretta connessione tra parole e musica.
La
letteratura in lingua d’oil fu soprattutto epica e narrativa (chanson de geste
e romanzo cortese) quella in lingua d’oc fu prevalentemente lirica.
Testi epici
La chanson
de Roland:
eroica lotta e morte di Orlando in difesa dell’impero franco contro l’avanzata
araba.
Canzone del
Cid, in
castigliano: imprese del personaggio storicamente esistito, Rodrigo Diaz de
Bivar, soprannominato dagli arabi, per il suo coraggio in battaglia, Cid
Campeador (Cid, dall’arabo sayyd, sigore; Campeador, dal latino campi doctor,
padrone del campo di battaglia); dipinto nei versi come eroe onesto, difensore
della cristianità, Rodrigo Fiaz de Bivar era, in effetti, un mercenario che con
il suo esercito, serviva indifferentemente cristiano e musulmani, saccheggiando
terre in tutta la Spagna occidentale.
A queste vicende si intrecciano le
storie amorose delle figlie del Cid, chieste in spose da nobili spagnoli
interessati alle ricchezze del Cid. Lo sfondo storico è quello della
Reconquista spagnola contro i Mori, che assunse i tratti di una guerra di
liberazione nazionale.
Cantare dei Nibelunghi, poema
in antico tedesco: imprese di Sigfrido per sposare la bellissima burgunda
Crimilde. Morte di Sigfrido, vittima delle trame di Brunilde, spose del re dei
Burgundi Gunther, peraltro fratello di Crimilde. Brunilde lo fa uccidere in
seguito alla diffusione della voce secondo cui lei sarebbe stata l’amante di
Sigfrido: dopo un abattuta di caccia in cui Sigfrido si è dostinto, viene
ucciso a tradimento da un sicario di Brunilde.
1) L'immaginario e la cultura
2) La spiritualità medievale e le sue ossessioni
3) Credenza popolari, paure, guerre