La scuola di Atene

La scuola di Atene

sabato 29 agosto 2015

IL MEDIOEVO

IL MEDIOEVO



IL MEDIOEVO. PERIODIZZAZIONE
            Il MEDIOEVO ( “età di mezzo” ) si situa cronologicamente tra la caduta dell’Impero romano d’Occidente (476) e la nascita della nuova cultura umanistica del       ‘400 e ‘500.
Si può distinguere tra Alto Medioevo (fino al Mille), caratterizzato dalle strutture socio-politiche del feudalesimo e Basso Medioevo (dopo il Mille).

          MEDIOEVO: SECOLI BUI?
            Almeno a partire dal secolo XI non si può più designare il Medioevo – seguendo schemi interpretativi elaborati fra Cinque e Ottocento – come età buia, di tenebre; in esso semmai la nostra età riconosce la propria infanzia, il vero inizio dell’Occidente attuale. (J. Le Goff)
            In effetti prima dell’anno Mille ci sono evidenti segni di crisi e di disfacimento dei vecchi tessuti connettivi: le scuola vengono abbandonate, il latino scompare come lingua, lasciando il posto alle parlate in volgare, le città si spopolano, l’uso del denaro viene abbandonato e si torna la baratto, non ci sono strutture politiche e il vuoto istituzionale è colmato dalla Chiesa, la sola autorità in grado peraltro di convertire le popolazioni germaniche penetrate nell’Europa occidentale e meridionale.
             Già nell’800, con Carlo Magno ci sono segni di ripresa culturale (la rinascita carolingia) - grazie alla schola palatina da lui fondata e dedicata all’alfabetizzazione e alla conservazione dei testi cristiani e classici, grazie alle capacità organizzative del monaco Alcuino da York  e  dello storico Paolo Diacono - e poi, subito dopo il Mille si registrano riprese economiche con la rinascita della città, di un’economia monetaria, di commerci e scambi culturali e con l’avvio di un artigianato preindustriale, con lo sviluppo dei settori della produzione di beni materiali e del commercio.
            Questa evoluzione determinerà il passaggio dalla spazio della campagna (arroccamento delle folle presso i castelli feudali o presso le abazie, secondo schemi di economia autosufficiente) allo spazio organizzato della città con conseguente passaggio dal feudalesimo al governo cittadino del comune.

LA CULTURA INTORNO ALL’ANNO MILLE
Si può parlare di sincretismo culturale (tendenza a conciliare e integrare elementi appartenenti a culture diverse): accanto ai retaggi della latinità, l’Europa si apre a influssi di vario genere, soprattutto alle suggestioni degli Arabi, penetrati in Sicilia e Spagna, che diffondono commenti alle opere di Aristotele, studi di matematica, astronomia, geografia e, in generale, tutto quello che indichiamo come “metodo sperimentale”.
            In particolare la narrativa occidentale viene influenzata dalla novellistica araba ( per via dell’impalcatura a cornice che raccoglie vari racconti)della raccolta Le mille e una notte, giunta in Occidente nel XII secolo. Inoltre, determinante fu l’influenza dell’aristotelismo arabo: Avicenna, medico e filosofo musulmano scrisse un’enciclopedia medica e contemperò il pensiero di Aristotele con quello di Platone; Averroè spinse il materialismo aristotelico sino alla negazione dell’immortalità dell’anima individuale e promosse un atteggiamento scientifico e razionale nello studio dei fenomeni naturali.
Durante l’impero di Carlo Magno si tiene il Concilio di Tours (813), in occasione del quale i sacerdoti vengono incoraggiati all’uso del volgare francese nelle prediche per farsi comprendere da masse non alfabetizzate. Questa decisione segna l’inizio dell’uso del francese anche come lingua letteraria nelle chansons, nei romanzi, nella lirica provenzale.

LE FIGURE INTELLETTUALI
            In tutto l’Alto Medioevo fino al XII secolo la diffusione della cultura fu orale: la dissoluzione del sistema scolastico pubblico, la limitazione dell’insegnamento alla formazione del clero da parte della Chiesa, la scomparsa di un pubblico, l’accentramento di ogni attività culturale intorno alle sedi episcopali, monasteri, palazzi imperiali, riducevano le possibilità di incontro e di esperienze culturali.
            Occasioni favorevoli – ma limitatamente alla trasmissione orale del sapere - erano le feste religiose, nelle quali il confine tra residui pagani e riti cristiani non sempre era chiaro, e le fiere di prodotti artigianali e agricoli.
            In questi momenti di aggregazione la folla si riuniva attorno al giullare di piazza. Nelle corti c’era, invece, il giullare di corte.
            I giullari (ioculares = “buffoni”) erano mimi attori, suonatori, saltimbanchi e giocolieri che intrattenevano il pubblico girovagando di paese in paese e di corte in corte; per i loro scherzi e spettacoli a volte volgari e osceni, erano malvisti dalla Chiesa, che li considerava continuatori delle tradizioni pagane. Con il passare del tempo i giullari si specializzano nel canatre e recitare testi poetici spesso composti da loro stessi in volgare, soprattutto in Francia, raggiungendo successo e fama.
            Erano delle figure laiche (dal greco laikós, “proprio del popolo”: indicava chi non faceva parte del clero) di intellettuali, proprio come i clerici vagantes, delle eccezioni, in un’epoca in cui il ceto intellettuale coincideva con quello religioso. Si trattava di studenti che passavano da un’università all’altra e componevano testi profani.
            Giullari e clerici vagantes avevano un ruolo di spicco nelle feste del Carnevale in cui incoraggiavano il popolo a esprimere, attraverso la parodia, il rovesciamento dei valori correnti e dell’autorità del potere politico e religioso e delle sue leggi: si affermava il valore di un “mondo alla rovescia” che sosteneva le ragioni materiali e corporali contro quelle esclusivamente spirituali dominanti e che influenzerà la poesia di Cecco Angiolieri e la narrativa di Boccaccio. (Cfr.  saggio di Bachtin  p. 12 del manuale di Luperini)

IL LIBRO E LA LETTURA
Nell’Alto Medioevo la diffusione della cultura era prevalentemente orale e davvero pochi sapevano scrivere e leggere: persino Carlo Magno pare che sapesse a malapena apporre la propria firma. La scrittura era praticata solo dal clero nel silenzio degli scriptoria dei conventi e dei monasteri.
Il libro e il suo contenuto erano appannaggio di pochi e avevano perciò un valore immenso, fonte assoluta di verità e autorità. Divenne, perciò abituale la pratica della citazione - per legittimare, con il riferimento agli autori del passato, il valore del proprio discorso – e della glossa (o nota al testo) e del commento volto ad attualizzare testi antichi con il rischio di perdere il senso della loro distanza o differenza rispetto al presente o di alterarne il significato originale.
Il libro o codex era considerato prezioso, le biblioteche ne possedevano solo qualche centinaio di esemplari. La lettura era svolta ad alta voce anche quando era solitaria (solo nel XII secolo si diffuse la lettura silenziosa) e la scrittura non separava tra loro le parole, per economizzare gli spazi: ciò rendeva difficile la decifrazione dei testi. Solo nel XIII secolo le parole vennero tra loro staccate e la lettura diventò più agevole.
Le parole latine AUCTOR  e AUCTORITAS  derivano dal verbo AUGEO (accrescere): in questi termini è presente un’idea di accrescimento quantitativo e qualitativo che attribuisce a qualcosa una maggiore forza e importanza. Perciò, quando Dante dice a Virgilio tu se’ lo mio maestro e ‘l mio autore (Inferno, I,85) intende non solo  - banalmente – che Virgilio è il suo scrittore preferito, ma vuol sottolineare che il poeta latino è per lui una guida, un esempio, un modello autorevole, dotato, cioè, di auctoritas.
Naturalmente il libro dei libri è la Bibbia. Tutto lo scibile umano, l’interpretazione del mondo, della natura e della storia nel Medioevo non rispondono ad un’esigenza di conoscenza scientifica e oggettiva, ma a un’idea precostituita del mondo, fondata sull’autorità della Bibbia e dei padri della Chiesa, sulla base dei quali si leggeva e si interpretava anche la cultura classica.

SPAZIO E TEMPO
            La concezione del mondo è gerarchica e piramidale: subordinata all’autorità politica e religiosa, dominata dall’idea della trascendenza e caratterizzata da grandi opposizioni (Dio e Satana, Paradiso e Inferno, anima e corpo).
            Le figure sociali di spicco sono il monaco che si dedica alla vita contemplativa e il cavaliere che si batte per il proprio signore e in difesa della fede cristiana.
            La dimensione orizzontale dello spazio (quella dell’esperienza umana nel mondo) è subordinata a quella verticale: la verità e il potere discendono dall’alto, dal cielo.
            Il tempo è quello della Chiesa, scandito dalle ore canoniche e dal suono delle campane che obbediscono alle esigenze della liturgia e non a quelle della produzione economica: l’ora come unità produttiva non esiste (cfr. saggio di Le Goff p. 14 del manuale di Luperini).
            Manca, inoltre, qualsiasi concezione evolutiva della storia, anzi, si pensa che il futuro coincida con la fine del mondo e che il passato abbia inizio con la creazione del mondo e di Adamo ed Eva, la cui realtà storica non è mai posta in dubbio. È convinzione di tutti che un’imminente catastrofe – intorno all’anno Mille – attesa con paura segnerà la fine della storia e porterà al compimento del Regno di Dio (Millenarismo)

SIMBOLISMO E ALLEGORISMO
L’interpretazione della natura è simbolica: in essa si vede la presenza di forze divine e misteriose, interpretate secondo criteri di somiglianza del tutto intuitivi che connettono tra loro i diversi piani dell’esperienza: ogni particolare assume un valore trascendente. I trattati dedicati agli animali (bestiari) o alle pietre (lapidari) non studiano affatto le loro caratteristiche specifiche e fisiche, ma i loro presunti valori morali o religiosi, senza alcuna distinzione fra esseri esistenti o immaginari (come draghi o unicorni). (cfr. saggio sui bestiari p. 16 del manuale di Luperini).
Presuppone, invece, una mediazione razionale e culturale l’interpretazione allegorica della storia in chiave cristiana: tutto il mondo classico – quando non viene condannato come profano – è reinterpretato allegoricamente in chiave cristiana secondo i procedimenti del sincretismo culturale, con evidenti forzature e alterazioni rispetto ai significati originali dei testi antichi.
In questo contesto si colloca l’interpretazione figurale: il mondo antico è figura, cioè, prefigurazione e anticipazione di verità che saranno chiarite nel Nuovo Testamento: il racconto biblico della liberazione degli Ebrei dalla schiavitù d’Egitto ad opera di Dio è sì un fatto storico, ma prefigura l’evento religioso fondamentale del Cristianesimo: la liberazione dell’umanità dal peccato grazie alla redenzione di Cristo di cui i Vangeli parlano. In questa lettura anche i versi dei poeti pagani sono considerati “belle menzogne” che nascondono verità più profonde, dirà Dante.
Ai significati morali sottesi all’allegoria si aggiungono quelli anagogici, religiosi e teologici, riguardanti direttamente l’essenza di Dio.

IL MEDIOEVO. L’affermazione delle lingue volgari
Il latino è l’unica lingua scritta nell’Alto Medioevo; la lingua parlata si era allontanata dal latino, fondendosi con apporti delle lingue germaniche. Quindi la distanza tra il latino e le lingue parlate era sempre più grande. Le varie lingua parlate vengono chiamate “volgari” (da vulgus, popolo) in quanto parlate dal popolo, solo nel Basso Medioevo diventano lingue scritte, dando vita alle diverse letterature nazionali. Il latino resterà la lingua dei dotti.
I volgari sono detti anche lingue romanze dall’espressione romanice loqui. Il termine romanzo indicherà il genere letterario più diffuso in lingua romanza, cioè la narrativa cavalleresca, e poi qualsiasi tipo di narrazione sino al moderno romanzo.
Le lingue romanze possono essere definite anche dal modo in cui si significava il “sì” nei vari volgari: l’italiano era detto da Dante la “lingua del sì” (dal latino sic), il provenzale era detto “lingua d’oc (da hoc o hoc est per dire “sì”), il francese era chiamato “lingua d’oil” (da hoc ille che diventerà l’attuale oui francese)
Primato cronologico della letteratura francese
            La letteratura francese comincia nel secolo XI, quella spagnola nel secolo XII e quella italiana nel XIII, con la Lauda di S. Francesco. Il primato cronologico francese è legato ad un ‘egemonia culturale: è dalla Francia che si diffonde la cultura cortese, espressione dell’aristocrazia feudale.

IL CAVALIERE
Il cavaliere è una figura centrale della società cortese. L’istituto della cavalleria subisce una profonda trasformazione: i cavalieri, in origine rozzi e brutali avventurieri, assumono i valori cristiani, utilizzano la forza e l’abilità guerresca non per predare ma per difendere i poveri e per nobili imprese spesso al servizio della Chiesa; nel tempo i cavalieri diventano portatori di un’ideologia fondata sulla liberalità e sulla “cortesia”, un complesso di qualità personali basate sulla lealtà e sulla nobiltà d’animo contrapposte sia alla “villania”, la rozzezza dei contadini, sia sulla presunzione della nobiltà di sangue dei ceti aristocratici.

Nasce, poi, la figura laica del cavaliere-poeta che canta la donna amata ripetendo nei suoi confronti, attraverso  il servitium amoris, l’atto di omaggio vassallatico prima dovuto al signore.
L’amore cortese, che comporta una rivalutazione della figura femminile, risulta, così, omogeneo al sistema sociale feudale, ma ha in sé una componente eversiva rispetto all’etica della Chiesa: l’amore cortese è per definizione extraconiugale e intacca, quindi, l’istituto che la Chiesa considera la cellula principale del tessuto sociale, il matrimonio e la famiglia.
L’amor cortese è oggetto sia del romanzo sia della lirica.
Il romanzo è rivolto a un pubblico di dame e cortigiani che leggono per diletto, la poesia è cantata non più solo dal cavaliere-poeta o dal giullare itinerante. Alla fine del Duecento il poeta diviene un menestrello, cioè un ministerialis, un impiegato di corte retribuito. Il giullare non scompare, ma retrocede nella scala sociale.
Il trovatore è il poeta che si esprime in lingua d’oc; il troviere usa la lingua d’oil.
Trobar significa “trovare tropi musicali”, cioè comporre testi e melodie in una stretta connessione tra parole e musica.
La letteratura in lingua d’oil fu soprattutto epica e narrativa (chanson de geste e romanzo cortese) quella in lingua d’oc fu prevalentemente lirica.
Testi epici
La chanson de Roland: eroica lotta e morte di Orlando in difesa dell’impero franco contro l’avanzata araba.
Canzone del Cid, in castigliano: imprese del personaggio storicamente esistito, Rodrigo Diaz de Bivar, soprannominato dagli arabi, per il suo coraggio in battaglia, Cid Campeador (Cid, dall’arabo sayyd, sigore; Campeador, dal latino campi doctor, padrone del campo di battaglia); dipinto nei versi come eroe onesto, difensore della cristianità, Rodrigo Fiaz de Bivar era, in effetti, un mercenario che con il suo esercito, serviva indifferentemente cristiano e musulmani, saccheggiando terre in tutta la Spagna occidentale.
            A queste vicende si intrecciano le storie amorose delle figlie del Cid, chieste in spose da nobili spagnoli interessati alle ricchezze del Cid. Lo sfondo storico è quello della Reconquista spagnola contro i Mori, che assunse i tratti di una guerra di liberazione nazionale.
            Cantare dei Nibelunghi, poema in antico tedesco: imprese di Sigfrido per sposare la bellissima burgunda Crimilde. Morte di Sigfrido, vittima delle trame di Brunilde, spose del re dei Burgundi Gunther, peraltro fratello di Crimilde. Brunilde lo fa uccidere in seguito alla diffusione della voce secondo cui lei sarebbe stata l’amante di Sigfrido: dopo un abattuta di caccia in cui Sigfrido si è dostinto, viene ucciso a tradimento da un sicario di Brunilde.









1) L'immaginario e la cultura




2) La spiritualità medievale e le sue ossessioni





3) Credenza popolari, paure,  guerre







lunedì 24 agosto 2015

I PROMESSI SPOSI ... IN PILLOLE

Il romanzo storico: il "vero storico" e il "vero poetico"

http://www.digila.it/public/iisbenini/transfert/Bernazzani/4B%20SIA/Materiale/Lettera%20a%20Chauvet.pdf



I PROMESSI SPOSI ... IN PILLOLE

L'interpretazione di Lucio Villari
http://www.raistoria.rai.it/articoli/manzoni-poesia-e-storia/29401/default.aspx

L'interpretazione di A. Asor Rosa
https://www.youtube.com/watch?v=II3_J8zm91I

Manzoni, Proust: il padre dov'è?
http://www.ildue.it/public/Thesaurus/Thesauruspagina.asp?IDPrimoPiano=668

I personaggi storici nel romanzo: la Monaca di Monza
https://it.m.wikisource.org/wiki/I_promessi_sposi_(1840)/Capitolo_IX

DON ABBONDIO E I BRAVI



DIALOGO TRA RENZO E DON ABBONDIO





IL PERSONAGGIO DI RENZO



IL PERSONAGGIO DI LUCIA




RENZO E IL DOTTOR AZZECCAGARBUGLI



RENZI E LE PAGINE MANZONIANE SU AZZECCAGARBUGLI



LA CONVERSIONE DI PADRE CRISTOFORO


FRA CRISTOFORO E DON RODRIGO



DON RODRIGO



ADDIO, MONTI



ADDIO, PATRIA: ESSERE MIGRANTI NEL 2000
http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntate/partire-ritornare/692/default.aspx

Tahar Ben Jelloun, All'alba il dolore è stanco
All'alba il dolore è stanco
il corpo si abbandona sulla terra umida.
Lento dalla ferita sorge il sole
mentre la notte ha già preso il largo su una scialuppa
di fortuna.
Forse questa giornata approderà su un colle
e gli uomini si chineranno a raccogliere
frutti di generazioni mandate al sacrificio.
Sono venuto nel tuo paese con il cuore in mano
Espulso dal mio,
Un po' volontariamente e un po' per bisogno
Sono venuto,
Siamo venuti per guadagnarci da vivere,
Per salvaguardare la nostra sorte,
Guadagnare il futuro dei nostri figli,
L'avvenire dei nostri anni già stanchi,
Guadagnarci una prosperità 
che non ci faccia vergognare,
Il tuo paese non lo conoscevo
E' un immagine...
Un miraggio, credo, ma senza sole...
Siamo arrivati qui ad informare, 
con un canto di follia nella testa...
E già la nostalgia e i frammenti del sogno...
Sopravviviamo tra l'officina 
o il cantiere e i pezzi del sogno
Il nostro cibo, la nostra dimora
Dura l'esclusione
Rara la parola rara la mano tesa.


Nato a Fes, in Marocco,nel 1944, Tahar Ben Jelloun ha trascorso la sua adolescenza a Tangeri e ha compiuto gli studi di filosofia a Rabat, dove ha scritto in francese le sue prime poesie, raccolte in Hommes sous linceul de silence (1971). In Marocco ha insegnato filosofia, ma a causa dell'arabizzazione dell'insegnamento (e non essendo egli abilitato alla pedagogia in lingua araba), nel 1971 si è trasferito a Parigi dove tre anni dopo ha ottenuto un dottorato in psichiatria sociale sulla confusione mentale degli immigrati ospedalizzati, che verrà pubblicata col titolo L'estrema solitudine. La sua esperienza di psicoterapeuta sarà anche riversata nel romanzo La Réclusion solitaire (La reclusione solitaria, 1976). Nel frattempo ha continuato a scrivere, sempre esclusivamente in lingua francese, collaborando regolarmente col quotidiano Le Monde. Il primo romanzo, Harrouda è del 1973. Oggi è padre di quattro figli. È molto noto in Italia per i suoi numerosi romanzi e per i suoi articoli. Con il Premio Goncourt assegnatogli per "La Nuit sacrée" nel 1987, è divenuto lo scrittore straniero francofono più conosciuto in Francia. Interviene con dibattiti e articoli sui problemi della società, soprattutto sul problema della periferia urbana e del razzismo. Con il libro Il razzismo spiegato a mia figlia e per il profondo messaggio che tale libro ha trasmezzo, gli è stato conferito dal segretario delle Nazioni Unite il Global Tolerance Award. Nel 2006 ha vinto il Premio Internazionale TRIESTE-POESIA. Le sue opere più importanti sono:"Creatura di sabbia" (1987);"Nadja"(1996);"Ospitalità francese"(1984)


LA NOSTALGIA GLOBALE: L'INTERPRETAZIONE DI FEDERICO RAMPINI
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/03/28/la-nostalgia-globale-il-mal-di.html

È il vero male del secolo, la nuova patologia diffusa dalla globalizzazione? Ha un nome antico: "Nostalgia di casa". Nell'Ottocento, all'alba delle migrazioni mondiali legate alla prima rivoluzione industriale, era un termine medico, usato nelle riviste scientifiche come descrizione di una vera malattia. Oggi viviamo nell' epoca delle migrazioni "2.0", un salto di civiltà ci ha trasportati in un universo senza frontiere e senza distanze. Mai prima d'ora l' umanità ha avuto tanta facilità a spostarsi e a comunicare. Emigranti poveri in fuga dal sottosviluppo o dalle guerre; espatriati di professione; "cervelli" che si spostano all' estero in cerca di migliori opportunità scientifiche. La tipologia è vasta, ma si scopre che non siamo così facilmente sradicabili, esportabili, adattabili. (...)

Ai due estremi del ventaglio delle migrazioni, ci sono disperazione e libertà. Le diseguaglianze crescenti aumentano la pressione per abbandonare i luoghi più miseri e inospitali. Al tempo stesso è diventato più facile andarsene, e viviamo in una cultura che esalta la mobilità come un valore positivo. (...)
Ma è proprio vero che il XXI secolo ci ha reso tutti cittadini del mondo, cosmopoliti e flessibili? Una studiosa americana delle migrazioni, Susan Matt della Weber State University, dimostra che è una forzatura. «Il cosmopolitismo - spiega la Matt - e cioè l' idea che gli individui possono e debbono sentirsi a casa propria in ogni angolo del mondo, risale nientemeno che all'Illuminismo. Solo ora però è diventata senso comune, valore di massa, come un ingrediente costitutivo dell' economia globale. Tuttavia dopo un decennio di ricerche sulle esperienze e le emozioni degli immigrati, ho scoperto che molti di coloro che lasciano casa in cerca di un futuro migliore finiscono per subìre uno spaesamento dagli effetti depressivi. Pochi ne parlano apertamente» (...)


L' idea che sia facile sentirsi a casa propria in ogni angolo del pianeta, deriva da una visione dell' umanità che celebra l' individuo solitario, mobile, facilmente separabile dalla sua famiglia, dalle sue radici, dal suo passato». In quanto all'illusione che le tecnologie abbiano abbattuto frontiere e distanze, la psicologa messicana Maria Elena Rivera ha raggiunto la conclusione opposta: molti suoi pazienti soffrono ancora più acutamente la lontananza da casa, dopo avere "assaggiato" l'atmosfera di una cena tra familiari e amici... osservata a mille chilometri di distanza sullo schermo di un computer o di un' iPhone via Skype.

LA MONACA DI MONZA


I TUMULTI DI SAN MARTINO
http://www.raiscuola.rai.it/articoli/i-promessi-sposi-lassalto-ai-forni-cap-xii-e-xiii/4931/default.aspx

OSTERIA E AMBIENTI CARAVAGGESCHI





IL RAPIMENTO DI LUCIA





DIO PERDONA TANTE COSE PER UN'OPERA DI MISERICORDIA




LA NOTTE DELL'INNOMINATO



LA PESTE A MILANO
http://www.raiscuola.rai.it/articoli/i-promessi-sposi-la-peste-cap-xxi/3832/default.aspx

IL GRISO TRADISCE DON RODRIGO
http://www.raiscuola.rai.it/articoli/i-promessi-sposi-il-griso-tradisce-cap-xxxiii/3702/default.aspx

GLI UNTORI
http://www.raiscuola.rai.it/articoli/i-promessi-sposi-la-peste-cap-xxi/3832/default.aspx

LA MADRE DI CECILIA - 1





LA MADRE DI CECILIA - 2




RENZO PERDONA DON RODRIGO



IL PERDONO
Scrive F. Scott Fitzgerald: non c’è fuoco o gelo che possa sfidare ciò che un uomo può immagazzinare nella memoria (in Il grande Gatsby).
Sembra impossibile lasciare spazio al perdono: la memoria è un archivio indistruttibile e lì si immagazzinano e si sedimentano, accanto ai ricordi, anche i sentimenti più forti e indomabili: il rancore, la vendetta, lo sdegno, la rabbia.
Eppure è possibile non essere schiavi dell'odio, una soluzione c'è: l’oblio, che non è rimozione. Bisogna saper dimenticare, non cancellare; occorre saper recuperare l’equilibrio tra memoria e dimenticanza. Soprattutto, è necessario darsi tempo, concedersi il tempo per guarire, dare alla ferita il tempo per rimarginarsi e trasformarsi in cicatrice. E la cicatrice è un segno, che resta, ma non sanguina più. Il segreto sta nel saper lasciar andare lo sdegno per il torto ricevuto, nell’essere capaci di fare spazio a una nuova prospettiva, per conquistare la libertà da ogni gabbia di tristezza, di pietrificazione rancorosa.
Sostiene Recalcati: il lavoro del perdono è un lavoro che esige tempo: la memoria dell’offesa viene attraversata e riattraversata al fine di raggiungere un punto di oblio che rende possibile un nuovo inizio (in Non è più come prima)
Nell’oblio sta la forza dell’uomo: solo dimenticando il male e il dolore che ne è derivato, si potrà trovare la spinta per guardare al futuro.

… Come si alzerebbe l’uomo al mattino
senza l’oblio della notte che cancella le tracce?
Chi è stato sbattuto a terra sei volte
come potrebbe risollevarsi la settima
per rivoltare il suolo pietroso,
per rischiare il volo nel cielo?

La fragilità della memoria
dà forza agli uomini.
(B. Brecht, Elogio della dimenticanza)




ELOGIO DEL PERDONO: MASSIMO RECALCATI (minuto 47.09)




I PROMESSI SPOSI: IL CONFLITTO DELLE INTERPRETAZIONI

IL CALVINISMO E L’INTERPRETAZIONE WEBRIANA DELL’ETICA DEL LAVORO
Una spiegazione alla crescita sociale ed economica di Renzo e Lucia.

Il profitto segno della grazia divina
La religione luterana aveva dichiarato l'inefficacia delle buone opere per essere salvati, la dottrina della giustificazione per fede era espressione della onnipotenza divina che, per suo insindacabile giudizio, rendeva giusto (iustum facere), giustificava, a condizione di avere fede, chi era ingiusto per sua natura, per il peccato originale. Si stabiliva così un rapporto diretto tra Dio e gli uomini. Veniva a mancare la funzione del dispensatore della grazia divina, il sacerdos, colui che dà il sacro, che assicura il fedele del perdono divino, per cui occorrono le buone opere, e della grazia salvifica.
La mediazione della Chiesa tra il fedele e Dio presente nel cattolicesimo, nel luteranesimo era cancellata. Ogni credente diveniva sacerdote di se stesso. Nessun uomo, sosteneva Lutero, con le sue corte braccia può pensare di arrivare fino a Dio. Questa condizione era potenzialmente disperante. Quanto più il fedele viveva approfonditamente la sua fede tanto più il dubbio si insinuava sulla sua sorte nell'aldilà.
Con Calvino c'è una soluzione. Il segno della grazia divina diventa visibile e sicuro: è la ricchezza, il benessere generato dal lavoro. Anzi il lavoro in sé acquistava il valore di vocazione religiosa: è Dio che ci ha chiamato ad esso. Quindi il beruf, il lavoro e il successo che ne consegue garantiscono al calvinista che "Dio è con lui", che egli è l'eletto, il predestinato.
Di conseguenza il povero è colui che è fuori dalla grazia di Dio. Chi sa quali colpe egli ha commesso per essere stato punito con la povertà. La figura del povero, che nel Medioevo cristiano, francescano e cattolico era la presenza di Cristo, lo strumento per acquisire meriti per il Paradiso, ora è invece il segno della disgrazia divina. Le torme di mendicanti cenciosi e ladri che ora assediano nel Cinquecento le strade della città impauriscono i buoni borghesi. Ad ogni aumento del prezzo dei beni alimentari può scatenarsi una sommossa. Essi quindi verranno relegati dalle autorità cittadine, spesso con la forza, negli ospedali che divengono i luoghi di raccolta di ammalati, vagabondi e poveri.
Visione weberiana
Questa concezione calvinista del valore del lavoro per il lavoro stesso trova riscontro per Max Weber in alcune caratteristiche che differenziano le due religioni: mentre il cattolico celebra la messa o prega per ottenere qualcosa, il protestante ringrazia Dio per quello che ha già ottenuto, la sua preghiera onora Dio, ha un valore in se stessa non serve per ottenere qualcosa. Mentre le chiese cattoliche manifestano nell'oro e nella ricchezza dei loro edifici e delle cerimonie la gloria di Dio, al contrario quelle calviniste hanno il senso di sé in se stesse, sono severi luoghi di culto costruiti soltanto per pregare.
Infine come la fede nel protestantesimo vale per se stessa, è del tutto separata dalle opere così nello spirito capitalistico il lavoro e la produzione sono valori morali in sé separati da ogni risultato esterno: il profitto va reinvestito perché il beruf ha un valore in se stesso e non in rapporto ai godimenti e ai vantaggi materiali che possa procurare.