La scuola di Atene

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martedì 13 marzo 2018

GIUSEPPE UNGARETTI, L'ERMETISMO E QUASIMODO

IL PORTO SEPOLTO
Vi arriva il poeta
e poi torna alla luce con i suoi canti
e li disperde

Di questa poesia
mi resta
quel nulla
d’inesauribile segreto
(G. UNGARETTI, da L'allegria)

Analisi
La forma e lo stile. Il porto sepolto è la seconda poesia della raccolta a cui dà il titolo. Conta sette versi di misura variabile e prevalentemente breve (due sono trisillabi), distribuiti in due strofe. La frammentarietà e la brevità del testo sono emblematiche di tutta la prima produzione ungarettiana. Come in tutti i componimenti della raccolta il titolo vale come verso zero, cioè offre informazioni fondamentali alla comprensione del testo, di cui è parte integrante: infatti il Vi del primo verso rimanda evidentemente al porto sepolto del titolo, senza il quale non sapremmo a cosa il poeta si riferisca. In calce al testo compaiono i riferimenti al luogo e alla data di composizione.

I temi.
La poesia è tra le più importanti della raccolta perché enuncia la poetica dell’autore. Il poeta trae spunto da un antico porto di Alessandria d’Egitto, inabissatosi per via di movimenti bradisismici, ma ne fa un motivo simbolico: infatti, immergendosi nel porto sepolto allude alle profondità dell’animo umano, a quel che resta dell’origine perduta, inabissatasi e diventata inesplorabile. Grazie alla poesia, il poeta è in grado di intuire e riportare alla luce tracce di quell’origine (quel nulla / d’inesauribile segreto) e, di conseguenza, diffonderle agli uomini. L’inabissamento e il successivo affioramento del poeta con i suoi canti rimandano inoltre al mito di Orfeo – figura che nella mitologia greca simboleggia la poesia – il quale discese agli inferi per riportare in vita la sua Euridice: allo stesso modo il poeta scende nelle oscurità del mistero poetico per cercare la scintilla dell’ispirazione, in modo da riportare alla luce i suoi canti, immagine che allude chiaramente allo scrivere versi. Tuttavia i canti (le poesie) non sono in grado di restituire per intero il segreto della creazione (poetica e non): una volta portati alla luce il poeta li disperde, cioè qualcosa del messaggio originario va inesorabilmente perso e il poeta non può far altro che scrivere in modo frammentario e per brevi illuminazioni. È interessante notare come l’effetto della dispersione sia reso da Ungaretti con la coppia di dimostrativi questa/quel: la poesia (questa) come elemento tangibile e vicino al poeta conserva quel nulla, che allude a qualcosa di distante e lontano. È evidente in questa scelta la lezione del Leopardi dell’Infinito, in cui la fitta alternanza dei dimostrativi questo/quello indica allo stesso modo vicinanza/lontananza, finito/infinito.

UNGARETTI RACCONTATO DA ANDREA CORTELLESSA
http://www.letteratura.rai.it/articoli-programma-puntate/ungaretti-raccontato-da-andrea-cortellessa/25835/default.aspx

UNGARETTI E LA POESIA





La poesia è è poesia quando porta in sé un segreto





LA GUERRA

SAN MARTINO DEL CARSO
Valloncello dell'Albero isolato il 27 agosto 1916
Di queste case
Non è rimasto 
Che qualche
Brandello di muro

Di tanti
Che mi corrispondevano
Non è rimasto
Neppure tanto

Ma nel cuore
Nessuna croce manca

E’ il mio cuore
Il paese più straziato
(G. Ungaretti, da L'allegria)










SOLDATI


Bosco di Courton luglio 1918
Si sta come
d'autunno
sugli alberi le foglie
(G. Ungaretti, da L'allegria)




LA POETICA DELL'ATTIMO

MATTINA
Santa Maria la Longa il 26 gennaio 1917
M'illumino
d'immenso
(G. Ungaretti, da L'allegria)




LA POESIA DELLA MEMORIA

I FIUMI
Cotici il 16 agosto 1916

Mi tengo a quest’albero mutilato
Abbandonato in questa dolina
Che ha il languore
Di un circo
Prima o dopo lo spettacolo
E guardo
Il passaggio quieto
Delle nuvole sulla luna
Stamani mi sono disteso
In un’urna d’acqua
E come una reliquia
Ho riposato
L’Isonzo scorrendo
Mi levigava
Come un suo sasso
Ho tirato su
Le mie quattro ossa
E me ne sono andato
Come un acrobata
Sull’acqua
Mi sono accoccolato
Vicino ai miei panni
Sudici di guerra
E come un beduino
Mi sono chinato a ricevere
Il sole
Questo è l’Isonzo
E qui meglio
Mi sono riconosciuto
Una docile fibra
Dell’universo
Il mio supplizio
È quando
Non mi credo
In armonia
Ma quelle occulte
Mani
Che m’intridono
Mi regalano
La rara
Felicità
Ho ripassato
Le epoche
Della mia vita
Questi sono
I miei fiumi
Questo è il Serchio
Al quale hanno attinto
Duemil’anni forse
Di gente mia campagnola
E mio padre e mia madre.
Questo è il Nilo
Che mi ha visto
Nascere e crescere
E ardere d’inconsapevolezza
Nelle distese pianure
Questa è la Senna
E in quel suo torbido
Mi sono rimescolato
E mi sono conosciuto
Questi sono i miei fiumi
Contati nell’Isonzo
Questa è la mia nostalgia
Che in ognuno
Mi traspare
Ora ch’è notte
Che la mia vita mi pare
Una corolla
Di tenebre.
 (G. Ungaretti, da Allegria di naufragi (1919), poi in L’Allegria (1931).


UNGARETTI E IL"RITORNO ALL'ORDINE"
Composta nel 1925, L’isola entra a far parte del Sentimento del Tempo (1933), libro che segna una fondamentale svolta nella carriera poetica di Giuseppe Ungaretti. Il poeta abbandona lo stile franto ed essenziale dell’Allegria e approda a una sorta di classicismo oscuro e barocco, che farà scuola presso i poeti ermetici. L’isola è quasi un manifesto della nuova maniera. L’atmosfera della poesia è fin da subito misteriosa e rarefatta: lo spazio in cui si muove un protagonista senza nome, in terza persona, è irrealistico e indefinito. Il tempo verbale dominante è il passato remoto, attraverso cui il poeta crea un’effetto di sospensione mitica.

L'ISOLA
A una proda ove sera era perenne
di anziane selve assorte, scese,
e s'inoltrò
e lo richiamò rumore di penne
ch'erasi sciolto dallo stridulo
batticuore dell'acqua torrida,
e una larva (languiva
e rifioriva) vide;
ritornato a salire vide
ch'era una ninfa e dormiva
ritta abbracciata a un olmo.
In sé da simulacro a fiamma vera
errando, giunse a un prato ove
l'ombra negli occhi s'addensava
delle vergini come
sera appiè degli ulivi;
distillavano i rami
una pioggia pigra di dardi,
qua pecore s'erano appisolate
sotto il liscio tepore,
altre brucavano
la coltre luminosa;
le mani del pastore erano un vetro
levigato da fioca febbre.
(G. Ungaretti, L'isola, da Sentimento del tempo,1933)


NASCITA DELL'ERMETISMO
1) http://www.treccani.it/enciclopedia/ermetismo/

2) http://laspada.altervista.org/wp-content/uploads/2016/03/014_Gli_anni_del_regime_fascista_-L_ERMETISMO-1.doc

CARLO BO E LA LETTERATURA COME VITA
http://www.edatlas.it/documents/44645a4d-c1d0-4a05-901b-c8a97ee02a0c



SALVATORE QUASIMODO

Ed è subito sera è una poesia di Salvatore Quasimodo. Si tratta di uno tra i componimenti più brevi e più famosi del poeta siciliano e più in generale della corrente ermetica. Originariamente gli intensi versi liberi di questa breve poesia costituivano la terzina finale di una poesia più lunga intitolata Solitudini contenuta in Acque e terre, la prima raccolta di poesie dell'autore pubblicata nel 1930, comprendente le liriche scritte dal poeta dal 1920 al 1929 (alcune delle quali erano già apparse sulla rivista Solaria).Tagliando i diciannove versi iniziali di Solitudini, Quasimodo ne estrasse successivamente i tre versi di Ed è subito sera, che è la poesia di apertura della raccolta omonima (pubblicata nel 1942).

Ed è subito sera
Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.
(S. Quasimodo, dalla raccolta Ed è subito sera, 1942)
Analisihttps://library.weschool.com/lezione/ed-e-subito-sera-salvatore-quasimodo-ermetismo-commento-parafrasi-11323.html

Ride la gazza, nera sugli aranci
Forse è un segno vero della vita:
intorno a me fanciulli con leggeri
moti del capo danzano in un gioco
di cadenze e di voci lungo il prato
della chiesa. Pietà della sera, ombre
riaccese sopra l’erba così verde,
bellissime nel fuoco della luna!
Memoria vi concede breve sonno;
ora, destatevi. Ecco, scroscia il pozzo
per la prima marea. Questa è l’ora:
non più mia, arsi, remoti simulacri.
E tu vento del sud forte di zàgare,
spingi la luna dove nudi dormono
fanciulli, forza il puledro sui campi
umidi d’orme di cavalle, apri
il mare, alza le nuvole dagli alberi:
già l’airone s’avanza verso l’acqua
e fiuta lento il fango tra le spine,
ride la gazza, nera sugli aranci.
(S. Quasimodo, dalla raccolta Ed è subito sera, 1942)


Quasimodo "postermetico"
1) "La posizione del poeta non può essere passiva nella società: egli "modifica" il mondo. Le sue immagini forti, quelle create, battono sul cuore dell'uomo più della filosofia e della storia. La poesia si trasforma in etica, proprio per la sua resa di bellezza: la sua responsabilità è in diretto rapporto con la sua perfezione... un poeta è tale quando non rinuncia alla sua presenza in una data terra, in un tempo esatto, definito politicamente".
(Discorso sulla poesia, stampato in appendice alla raccolta Il falso e il vero verde, 1956)

2) "Rifare l’uomo: questo è il problema capitale. Per quelli che credono alla poesia come a un gioco letterario, che considerano ancora il poeta un estraneo alla vita, uno che sale di notte le scalette della sua torre per speculare il cosmo, diciamo che il tempo delle ‘speculazioni’ è finito. Rifare l’uomo, questo è l’impegno."
(Poesia contemporanea, 1946 poi in Poesie e discorsi sulla poesia, 1971) 

Alle fronde dei salici
E come potevano noi cantare
Con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.
(da Giorno dopo giorno, 1947)

Analisi stilistica
Salvatore Quasimodo in questa poesia raggiunge elevati effetti espressivi anche tramite il ricorso a particolari figure retoriche.

Metonimia (il concreto per l’astratto) (v. 2) → con il piede straniero sopra il cuore: il poeta rappresenta la violenza e la crudeltà dell’oppressione nazista che calpesta anche i sentimenti (cuore) degli Italiani.
Analogia (vv. 4 e 5) → lamento d’agnello dei fanciulli: il dolore mesto e soffocato degli orfani simile a quello degli agnelli (con implicito riferimento religioso al sacrificio cristiano).
Sinestesia (vv. 5 e 6) → urlo nero della madre: il poeta accosta un elemento uditivo (urlo) a uno visivo (nero), comunicando così il dramma infinito di quella madre che corre incontro al figlio crocifisso.
Analogia (vv. 6 e 7) → figlio crocifisso sul palo del telegrafo: il poeta collega idealmente lo strazio dei cadaveri degli uccisi al sacrificio estremo di Cristo sulla croce.
Metonimia (v.9): anche le nostra cetre erano appese: la cetra rappresenta la poesia (concreto per astratto).

L’immagine-simbolo dei salici, che nel loro oscillare, rappresentano il dolore e il pianto.

Riferimenti biblici in Alle fronde dei salici ANTICO TESTAMENTO - Salmo CXXXVI
Sui fiumi di Babilonia, là sedevamo piangendo al ricordo di Sion.
Ai salici di quella terra appendemmo le nostre cetre.
Là ci chiedevano parole di canto coloro che ci avevano deportato, canzoni di gioia, i nostri oppressori: «Cantateci i canti di Sion!».

Come cantare i canti del Signore in terra straniera?
Se ti dimentico, Gerusalemme, si paralizzi la mia destra; mi si attacchi la lingua al palato, se lascio cadere il tuo ricordo, se non metto Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia.

Ricordati, Signore, dei figli di Edom, che nel giorno di Gerusalemme, dicevano: «Distruggete, distruggete anche le sue fondamenta».
Figlia di Babilonia devastatrice, beato chi ti renderà quanto ci hai fatto. Beato chi afferrerà i tuoi piccoli e li sbatterà contro la pietra.


Uomo del mio tempo
http://www.edatlas.it/documents/33ebd069-1c34-4525-b448-b16f2a05c019




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